Tutti pazzi per Saro | Ma dopo due anni... - Live Sicilia

Tutti pazzi per Saro | Ma dopo due anni…

Due anni fa veniva dato alle stampe "E io non ci sto", autobiografia del governatore. Oggi, molti di quelli che nel libro sono indicati come "amici" hanno deciso di abbandonare Crocetta. Mettendo fine all'illusione di una rivoluzione mai compiuta.

Il tramonto del crocettismo
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L’illusione è svanita. E anche gli amici lo hanno lasciato da solo, seduto all’immaginario tavolo della rivoluzione. “E io non ci sto”, urlava Rosario Crocetta sulla copertina del suo libro-autobiografia-autocelebrazione dato alle stampe nel 2013. Due anni. E quel titolo sarebbe ancora attuale. Se solo si mutasse il soggetto che proferisce quella frase di ribellione. “E io non ci sto”, oggi lo dicono in tanti. Lo dicono Michela e Piero, l’amico Antonio e l’amico Pino. “Io non ci sto”, dalla parte di Crocetta, appunto. “Insieme a te, non ci sto più” è l’inno vintage della disillusione.

Perché di quel libro, oggi, resta poco. Se non si vuole leggerlo, adesso, come una parodia. Quella che vede il presidente del Senato Piero Grasso, autore della prefazione, ricordare l’amicizia di lunga data col governatore, il suo “metodo” contro il racket, il fatto di essere stato un uomo “contro”. Una considerazione altissima, quella della seconda carica dello Stato, che sembra appartenere a un’era lontana. Distante, di sicuro, da quella presente. Quella, per intenderci, nella quale Grasso, dopo aver letto le indiscrezioni de l’Espresso sulla presunta telefonata tra Crocetta e Tutino, sembra non aver avuto il dubbio sulla “verosimiglianza” di quell’evento, sulla possibile esistenza, cioè, di quel dialogo composto da “parole schifose – disse – che offendono la dignità di Lucia Borsellino, la memoria di Paolo, la Sicilia e l’Italia intera. Un abbraccio – aggiunse – a tutta la famiglia Borsellino”.

Uguale reazione, quella di Don Luigi Ciotti, numero uno dell’associazione antiracket “Libera”. Che eppure campeggia persino sulla quarta di copertina del libro di Crocetta: “Riesce – dice del governatore – a intercettare i bisogni che emergono dalla strada e ad ascoltare la gente, sempre pronto a pagare di persona quano è in gioco la giustizia”. Ma dopo quella indiscrezione si aggiungerà al coro degli sdegnati: “Provo sdegno e vergogna – disse – e resta l’inquietudine per l’ennesima conferma di come a vari livelli, e non solo in Sicilia, la gestione del bene comune si relazioni a figure incompatibili con un’etica pubblica e arroganti al punto da offendere chi a quell’etica ha sacrificato la vita”. In quel caso, il medico personale del governatore, tirato in ballo da l’Espresso. E Don Ciotti, in quella mattinata rovente, non ha avuto un dubbio. Come Grasso, come Mattarella, come tanti big del partito democratico, il partito di Crocetta, che ne hanno, spesso apertamente, preso le distanze. Nonostante fosse il “proprio” governatore.

Cosa è successo in due anni? Tutto si potrebbe racchiudere nella cronaca di una disillusione. Progressiva, costante. Come se si trattasse di un carro allegorico portato a spasso per qualche carnevale d’Italia, che perdesse nel tragitto, metro dopo metro, pezzi di cartapesta. Mostrandosi infine nudo nella triste, grigia intelaiatura in fil di ferro.

Gli amici ne hanno preso le distanze, uno per uno. L’amico Antonio, Antonio Presti, “un angelo”, scrive Crocetta nel suo libro, una di “quegli esseri non immaginari che ti danno la gioia di vivere”. ad esempio gli ha anche detto “no”. Crocetta voleva farlo assessore ai Beni culturali. Lui a quella rivoluzione, da un certo punto in poi, non ha più creduto. Una disillusione della quale Presti ha, probabilmente, preso coscienza molto prima di altri. La consapevolezza di una mistificazione, di una impostura che potesse essere superata, per dirla alla Presti, solo scegliendo la “via della bellezza”, era apparsa già evidente al mecenate messinese. Che si è ben guardato dall’entrare nei governi di Crocetta e ha anche rimandato indietro i soldi stanziati per la Fiumara d’Arte.

La disillusione di Confindustria invece è stata lenta e progressiva. Un intero capitolo della biografia di Crocetta porta il titolo: “Compagni di viaggio. Montante, Venturi, Lo Bello e gli altri”. Qualcuno di questi, a dire il vero, quel viaggio ha deciso di interromperlo. Linda Vancheri, dopo mesi di riflessione e anche di malessere, ha lasciato il governo Crocetta. Lei, rappresentante della Confindustria siciliana, quella al fianco della quale Crocetta racconta di essersi battuto nel Nisseno, ha abbandonato l’ex sindaco di Gela. A quella rivoluzione non crede più nemmeno lei, che fu consulente di Marco Venturi e braccio destro di Antonello Montante. I compagni di viaggio, appunto.

Persino Michela, la “sua” Michela, più volte citata per nome nel libro, non ne ha potuto più. Chiamata, da segretaria particolare a rivestire i panni più scomodi dell’assessore, per poi essere “spesa” in una candidatura alle Europee, è stata cacciata dalla giunta in seguito al solito rimpasto. Da lì, qualche settimana di veleni. Fino alla dichiarazione della Stancheris: ““Ormai divido la mia vita in prima e dopo il 26 ottobre 2014 – ha detto. – Personalmente non ho problemi con Crocetta, ma politicamente e professionalmente mi sono completamente affrancata. Sono completamente libera e non ci tengo a riproporre un vecchio modello di politica”. Ma come? E la rivoluzione?

Si potrebbe provare a chiedere agli altri amici di Crocetta. Quelli, almeno, che nel suo libro il governatore definisce, appunto, “amici!. Come l’esperto cronista di Repubblica Attilio Bolzoni. Che poche settimane fa, dopo le indiscrazioni de l’Espresso, parlava così: “Il silenzio di Crocetta davanti a quelle parole è imperdonabile. Come non si possono perdonare la sua antimafia da operetta e i danni incalcolabili che ha fatto alla Sicilia”. Insomma, “l’amico Attilio” non si è limitato a commentare il presunto contenuto dell’intercettazione, ma ha puntato al centro della disillusione: l’antimafia dei pennacchi e l’incapacità amministrativa del governatore. Che, a proposito di antimafia, un giorno, si legge nel libro, si recò a una commemorazione di Pio La Torre, insieme all’amico (eccone un altro) Pino Apprendi. Che a dire il vero, già nei giorni in cui veniva dato alle stampe il volume, diceva: “In tutte le apparizioni televisive Crocetta ha sempre parlato solo di se stesso e di un fantomatico, quanto inesistente, ‘modello Sicilia’. L’ultimo esempio eclatante è quello in cui sono state abolite le Province”. La disillusione, nell’amico Pino è giunta prestissimo.

Così come breve è stato l’amore per gli artisti. Come Franco Battiato, l’uomo che avrebbe dato alla Sicilia, secondo Crocetta, una “impronta unica”. “Dopo le elezioni – racconta Crocetta nel libro – Battiato mi aveva usato la delicatezza di telefonarmi per complimentarsi. Anche lui, come Lucia, mi ha risposto che era giunto il momento di assumersi delle responsabilità. Il suo sì mi ha onorato e riempito d’orgoglio. Ho pensato di coinvolgerlo non perché sia un artista famoso ma perché è un intellettuale raffinato”. Un po’ meno raffinata, invece, Crocetta trovò la frase dell’artista sulle “troie in parlamento”. E per questo l’ha cacciato. “Rosario Crocetta – ha commentato recentemente Battiato – doveva approfittare della mia uscita per licenziare tutti. Allora diventava una specie di Federico II di Svevia. Ma siccome non lo era, pazienza…”. “Diciamo – ribadirà l’artista in un’altra occasione – che lui non era il rivoluzionario che mi aspettavo e io ero quello che sono sempre stato”.

Non lo è, un Federico II di Svevia, il governatore. E neppure un rivoluzionario, stando alle parole di chi, insieme a tanti altri, lo aveva ritenuto tale. Quasi tre anni fa infatti Crocetta riusciva a coinvolgere e convincere personalità e nomi (e cognomi) di valore. Quantomeno mediatico, ma non solo. Come nel caso di Lucia Borsellino. Quando le chiese al telefono di fare l’assessore, ricorda Crocetta, “dalla sua voce sentii che era arrossita”. Non manca il momento delle lacrime, ovviamente, quando Crocetta, indicando gli agenti che lo avevano accompagnato disse a Lucia: “Ti presento la scorta di tuo padre”. Una scorta che adesso dovrà prendersi cura anche di lei, già profondamente turbata dalle frasi-fantasma pubblicate dall’Espresso in cui il medico personale di Crocetta avrebbe alluso a una replica della strage di via d’Amelio. Tutto, poi, seccamente smentito dalle Procure. Ma per tornare ai giorni in cui Lucia accettò, Crocetta annota nel suo libro: “La politica cinica non comprende certi gesti: i sentimenti non fanno parte del suo bagaglio culturale”. E di sentimenti, in realtà, dopo aver sbattuto la porta, per ragioni di ordine “etico e morale”, Lucia Borsellino parlerà a lungo. Della diffidenza attorno a lei, ad esempio E dell’ostilità emersa chiaramente dalle intercettazioni “vere”. Fino alla consapevolezza di un tradimento. Di quel governatore che pianse mostrandogli la scorta del padre. “Era la prima volta che le parlavo – il governatore descrive così nel libro il primo incontro con Lucia Borsellino – e fui subito colpito dallla sua voce meravigliosa ed emozionante: chiara, semplice, schietta”. La stessa voce che unendosi infine alle altre, in modo chiaro, semplice e schietto ha urlato “E io non ci sto”. Abbandonando Crocetta. E mettendo fine all’illusione.


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