Dalla Libia nella stiva dell'orrore | I racconti di chi sfuggì alla morte - Live Sicilia

Dalla Libia nella stiva dell’orrore | I racconti di chi sfuggì alla morte

Dieci scafisti sono accusati di omicidio volontario. Erano alla guida del barcone carico di disperati intercettato il 26 agosto scorso da una nave svedese. Le vittime non identificate saranno esposte al cimitero dei Rotoli nella speranza che qualche parente si faccia avanti.

PALERMO – I cadaveri saranno esposti per quindici giorni. I familiari, se qualcuno si farà avanti, hanno il diritto di riconoscere le salme dell’ultima tragedia del mare. Delle 52 vittime solo in sei sono state identificate. Il procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci, ha ordinato al Comune di sistemare le bare da qualche parte al cimitero dei Rotoli che da giorni vive una situazione di emergenza e di chiusura forzata.

Al camposanto palermitano le salme erano state trasportate dentro un container frigorifero. Per loro i soccorsi della nave svedese Poseidon sono giunti quando era ormai troppo tardi. I racconti dei sopravvissuti alla tragedia del 26 agosto scorso sono agghiaccianti. Il barcone della salvezza si è trasformato in un inferno. Infernale è l’unico aggettivo per descrivere la situazione nella stiva dove sono stati stipati oltre cento dei 492 migranti partiti dalla Libia.

Lunga poco meno di venti metri, larga quattro e alta meno di un metro e mezzo: più che un stiva era una grande cassa da morto in legno che preannunciava il triste destino di chi vi era finito dentro credendo di avere staccato, pagando quattro mila dollari, un biglietto per una vita migliore. Ecco perché il giudice per le indagini preliminari Giangaspare Camerini ha convalidato il fermo dei dieci scafisti con l’accusa di omicidio volontario. “Deve concludersi – scrive il Gip – che gli scafisti si sono rappresentati l’evento/morte dei migranti come conseguenza non voluta ma comunque certa o altamente probabile della loro concordata azione”. Insomma, i dieci indagati, compreso un marocchino di 17 anni, non potevano non prevedere che la loro violenze avrebbe provocato la morte.

Perché di violenze si è trattato come hanno ricostruito l’aggiunto Maurizio Scalia e i pm Anna Picozzi, Gery Ferrara, Renza Cescon e Roberto Tartaglia. In molti sul barcone non si erano neppure accorti che qualcuno, meno fortunato di loro, era stato costretto a fare la traversata nella stiva. “Poi nel corso della navigazione – racconta un testimone – mi sono accorto invece che c’era gente nella stiva, perché ogni tanto mettevano le teste fuori dalla botola per respirare”. Due botole, di 75 centimetri ciascuno, una a poppa e l’altra a prua. Chi metteva il naso fuori veniva picchiato: Sull’imbarcazione erano presenti altri 7 o 8 uomini che avevano lo scopo tenerci nella stiva ed erano quelli che ci colpivano con i bastoni, le spranghe e i coltelli”. Ed ancora: “Mi hanno colpito alla schiena con una spranga di ferro. Ricordo inoltre che hanno sferrato un violento colpo alla testa ad un ragazzo del Bangladesh causando la perdita dei sensi e la fuoriuscita di sangue”.

Alla fine 52 persone non ce l’hanno fatta. Sono morti lentamente, consumando poco alla volta l’aria pulita che li teneva in vita. “Ho visto morire davanti ai miei occhi 5 persone per asfissia e per mancanza di acqua – racconta un sopravvissuto -. Anche io mi sentivo molto male e ho pensato di morire. L’imbarcazione imbarcava acqua e si fermava molto spesso. Dopo circa 10 ore di navigazione siamo stati soccorsi da una grande nave che poi ci ha condotto nel porto di Palermo”.


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