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Quello che le donne devono dire

In Italia ci sono 11.436 procedimenti per stalking e solo nell'ultimo anno le denunce effettuate sono state 10.002, il 76% delle quali a carico di uomini. E la situazione potrebbe essere persino peggiore.

Secondo un lancio Ansa, in Sicilia sono in corso più di milleduecento procedimenti per stalking, iscritti e definiti nei tribunali. In Italia, come si evince da una indagine effettuata dal Ministero della Giustizia, sono in tutto 11.436, dei quali 8.453 hanno dato luogo a una sentenza; solo nell’ultimo anno le denunce effettuate sono state 10.002, il 76% delle quali a carico di uomini.

La situazione potrebbe essere persino peggiore di come descritta, se si ipotizza una stima dei dati sommersi, ovvero di quanti possano essere i casi non denunciati; difatti, la vittima dello stalking non sempre si rivolge alle autorità; attende, per farlo, che la persecuzione diventi insopportabile. Di solito, è quando le molestie sfociano nella violenza fisica che si chiede aiuto alle forze dell’ordine; e si tollera troppo spesso, ben più a lungo del dovuto, la ‘persecuzione virtuale’, in quanto si immagina che sia più facile sfuggire alle trappole degli aggressori in rete, ormai numerosi.

Di frequente, trovato un nuovo “amico” su Facebook, come su altri social network, dopo gli scambi di messaggi iniziali non si ritiene opportuno approfondire la conoscenza. In taluni soggetti, psichicamente fragili, può accadere che l’essere respinti scateni reazioni che si trasformano in vere e proprie campagne persecutorie. Le vicende si somigliano tutte, e sono tragicamente simili a quelle generate dalla chiusura unilaterale delle relazioni sentimentali. Da innamorato a carnefice, il passo è breve.

Ma cos’è lo stalking secondo il codice penale del nostro Paese? L’ennesimo inglesismo (to stalk è un termine mutuato -in modo significativo- dalla caccia, che significa letteralmente fare la posta a una preda, braccarla), contempla una serie di comportamenti invadenti e intromissivi nella vita di un’altra persona, come pure la pretesa di controllarla, minacciandola costantemente con telefonate, messaggi, appostamenti, pedinamenti, che interferiscono nella vita privata al punto da provocare uno stato d’ansia e paura continuo, tale da compromettere il normale svolgimento della vita quotidiana.

E chi è lo ‘stalker tipo’? Di solito è italiano, senza lavoro fisso e all’incirca quarantenne. Molto spesso è il coniuge separato o divorziato, o l’ex partner, fidanzato o convivente; il suo comportamento viene punito dalla legge nel caso di reiterazione delle minacce o delle molestie, quando è in pericolo l’integrità psico-fisica del soggetto offeso, per tutelarne l’incolumità. Non è necessario che si attui un danno biologico; le pressioni psicologiche e morali rilevano comunque: è sufficiente che si verifichi una alterazione del normale equilibrio della vittima.

I comportamenti deliranti dello stalker si concretizzano principalmente nelle comunicazioni persecutorie, che oggigiorno vengono poste in atto mediante ogni strumento tecnologico possibile, soprattutto smartphone e computer, che consentono di inviare in tempi brevi, in modo ossessivo e ossessionante, una gran quantità di messaggi e di posta elettronica, o con contatti personali, attraverso azioni di controllo, come il pedinamento, o con quello che viene definito il ‘confronto diretto’, ovvero gli appostamenti e le intrusioni a casa o sul posto di lavoro della vittima.

L’identikit psicologico dello stalker è multiplo. C’è il ‘risentito’, spinto dal desiderio di vendicarsi per un torto che ritiene di aver subito, o il ‘carente affettivo’, motivato dalla ricerca di attenzioni, che nega a se stesso il possibile disinteresse dell’altra parte; il ‘corteggiatore incompetente’, che attua un comportamento opprimente ed esplicito e quando non raggiunge i risultati sperati diventa aggressivo; e poi il ‘respinto’: colui che si muta in persecutore a seguito di un rifiuto, di solito un ex che pretende di ripristinare la relazione a tutti i costi, e se non ci riesce vuole vendetta per l’abbandono. Più pericoloso è il predatore: si tratta del molestatore che ambisce ad avere rapporti con una vittima pedinandola, inseguendola e spaventandola. La paura, infatti, eccita questo tipo di aguzzino che prova un senso di potere nell’organizzare l’assalto.

Sul piano oggettivo, lo stalking è caratterizzato da tre elementi che lo distinguono da condotte similari: lo stalker agisce nei confronti di una persona a lui legata da una relazione che può essere sia reale che solo immaginata; si manifesta con una serie di comportamenti basati sulla comunicazione o sul contatto, caratterizzati da ripetizione, insistenza e intrusività (ed ecco spiegata la crescita del fenomeno legato all’uso incondizionato della rete); infine, la pressione psicologica che deriva dalla condotta del tormentatore crea nella vittima un continuo stato d’emergenza e stress psicologico, che ingenera angoscia, preoccupazione e paura per la propria incolumità.

Nella strategia del molestatore è primario individuare il bersaglio più debole; talora, con lampi di intuizione, riesce a radiografare l’anima di una donna nelle sue più recondite fragilità, nell’illusione di guadagnare dal confronto più forza, immaginandosi, nel vuoto della propria, regista delle vite degli altri sotto le mentite spoglie di un corteggiatore che ha, piuttosto che un progetto affettivo, allucinatorie visioni solitarie.

Unica risposta possibile è creare attorno alle vittime una salda rete di solidarietà, e, come per la salute, una prevenzione rispetto al cancro sociale che è la violenza di genere; promuovere una cultura orientata al riconoscimento dell’altro, e accrescere la consapevolezza critica rispetto ai modelli dominanti, educando ragazze e ragazzi al rispetto delle differenze. Gli interventi devono aver luogo nei tradizionali ambiti educativi, la famiglia e la scuola, e non è mai troppo presto per fornire un supporto al processo di costruzione identitaria di bambini e adolescenti, in modo tale da consentire una relazione autentica e positiva tra i generi. In buona sostanza, si tratta di valorizzare le differenze tra il maschile e il femminile e sviluppare, di conseguenza, la capacità di rapportarsi con l’altro/altra.

In famiglia, in particolare, va ripensata l’educazione dei figli, insegnando ai maschi a rispettare le donne e alle ragazze a rispettare se stesse e la propria femminilità, che non sia mai più sinonimo di debolezza.

Impariamo, prima di insegnarlo, che per amare bisogna essere consenzienti. Occorre una rivoluzione culturale per passare da uno sdegno superficiale al sostegno concreto delle vittime di violenza, ripartendo dall’educazione. Non è semplice abbattere i tabù relativi alla costruzione dell’identità femminile fondata sulla negazione, sul controllo, sull’espropriazione, per crescere generazioni il cui futuro abbia aperte tutte le strade possibili, nel culto della libertà di espressione e di azione pur nei limiti degli spazi altrui. Il messaggio familiare e il rispetto della donna camminano di pari passo.

Perché si diventa uomini da piccoli, e non è una boutade. Quel delicato rapporto che si instaura dal primo vagito fra la madre e il figlio maschio dovrebbe, dipanandosi negli anni, mantenersi sul filo della cura reciproca, corroborato dall’esempio paterno. Sembra così facile a dirsi, ma niente è scontato. Come amo dire, l’amore, in tutte le sue forme, è una pianticella delicata, portata più ad appassire che a rafforzarsi. Se cresce, però, i suoi fiori sono unici e meravigliosi.

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