Chi difende i bambini sul web? - Live Sicilia

Chi difende i bambini sul web?

Le spine maggiori si annidano nell’uso selvaggio dei social network, e comunque delle chat che sono diventate ormai veri e propri bacini di adescamento per una variegata popolazione di maniaci.

Non si parlerà mai abbastanza, da quando il mondo virtuale affianca (e travolge) quello reale, dei rischi che corrono i minori costantemente collegati alla rete.

I timori sono più che fondati: all’inizio di questa settimana abbiamo appreso, dalla viva voce del Garante della privacy, Antonello Soro, che ‘le app e i siti internet più utilizzati dai bambini italiani non tutelano adeguatamente la privacy dei piccoli utenti’. L’allarme viene lanciato a seguito dei risultati dell’indagine condotta in collaborazione con ventotto autorità internazionali del Global Privacy Enforcement Network, in occasione del Privacy Sweep 2015 dedicato alla protezione dei bambini tra gli 8 e i 13 anni. Sono stati esaminati 13 siti internet e 22 app del settore educational, del mondo dei giochi, dei servizi on-line offerti dai canali televisivi per l’infanzia e dei social network popolari tra i bambini, o sviluppati per loro: 21 su 35 mettono a rischio i dati personali dei giovani navigatori, e otto siti richiederanno addirittura specifiche attività ispettive.

Il quadro emerso, in linea con le criticità rilevate da tutte le autorità internazionali, è cupo. ‘Occorrono siti e app a misura di bambino’- ha dichiarato Soro. ‘Siamo ancora molto lontani da una corretta tutela dei dati dei minori. È sempre più evidente che quasi tutti i bambini tra gli 8 e i 13 anni usano strumenti tecnologici collegati in rete, ma non sono adeguatamente protetti. Molte società che gestiscono siti e sviluppano app dimostrano un approccio irresponsabile nei confronti dei minori’.

Tra i siti e le app presi in esame, in 30 casi vengono raccolti dati sensibili, in 25 vi è l’obbligo di registrarsi inserendo l’indirizzo di posta elettronica, in 20 occorre indicare il proprio nome, in 13 è necessario consentire l’accesso a foto e video presenti sullo smartphone, sul tablet o sul pc; 19 siti e app registrano l’indirizzo IP, 18 l’identificativo unico dell’utente e 11 richiedono la geolocalizzazione del dispositivo utilizzato dal bambino. In 23 casi è poi prevista la condivisione con altri soggetti dei dati personali raccolti, e in ben 22, attraverso banner pubblicitari di terze parti, il minore può essere reindirizzato a un sito diverso da quello che sta utilizzando. Alcune app consentono al bambino di procedere direttamente all’acquisto di prodotti e servizi; di rado è presente un’informativa privacy chiara e completa. Limitati anche gli strumenti, come il parental control o le chat preimpostate, che aiutino i bambini a non diffondere i propri dati.

A livello globale, dall’analisi di 1500 siti e app, emerge in generale la scarsa tutela nei confronti  dei giovanissimi utenti. Accade difatti che il 67% dei siti e delle app raccolga informazioni personali su minori mentre solo il 31% offra meccanismi efficaci per limitarne la raccolta. Sebbene popolari fra i più piccoli, molti siti dichiarano nelle informative privacy di non essere pensati per un pubblico minorenne; il 50% di essi, inoltre, fornisce i dati a soggetti terzi, il che è molto grave se si considera che il 22% lascia inserire il numero telefonico e il 23% sia foto che video, mentre il 71% non offre strumenti per cancellare in seguito le informazioni contenute negli account.

Infine, sebbene sia ormai chiaro a tutti che i bambini utilizzano internet e smartphone quanto e più degli adulti, solo il 24% dei siti promuove il coinvolgimento dei genitori, quando occorrerebbero, piuttosto, controlli efficaci, come cruscotti riservati all’intervento dei genitori e avatar o ID utenti predefiniti per impedire che un minore riveli, inserendole in modo inconsapevole, troppe informazioni non necessarie.

In buona sostanza, grave disattenzione nei confronti dei più piccoli, poca trasparenza in merito alla raccolta e all’uso dei dati personali, alle autorizzazioni richieste per scaricare le app su smartphone e tablet, presenza di pubblicità indesiderata -e indesiderabile- e rischio continuo che i bambini accedano a siti non controllati. Un tale situazione è stata, come si è detto, definita ‘irresponsabile’: peccato che tante responsabilità condivise portino alla mancata individuazione di soggetti che operino, e cooperino, attivamente per una maggiore tutela. Come al solito, il problema riguarda sempre qualcun altro.

In effetti, sembra proprio che il ruolo genitoriale venga giudicato con una certa prudenza, quasi che non si voglia accusare per non essere accusati; o forse, il mercato ha delle leggi troppo forti perché finalmente qualcuno abbia il coraggio di denunciare il rischio di una totale disumanizzazione. Tra indaffarati distratti e lontani, come recitava una vecchia trasmissione radiofonica, appare sempre più chiaro che l’unica tutela per molti bambini la esplichi solo la dea bendata. Le spine maggiori si annidano ovviamente nell’uso selvaggio dei social network, e comunque delle chat che sono diventate ormai -tutti lo sanno, pochi lo dicono- veri e propri bacini di adescamento per una variegata popolazione di maniaci.

Manca in seno alla famiglia la visibilità completa del tempo speso online dai figli. ‘Com’è andata oggi a scuola?’, continuano a chiedere le mamme e i papà più volenterosi; ma forse dovrebbero chiedere ‘Com’è andata oggi su Facebook?’ Un minimo di attenzione, di richiesta di informazione potrebbe, e dovrebbe, acuire l’attenzione rispetto a social network che non presentano alcuna cautela; un nome per tutti, Ask.fm (in Italia e nel Regno Unito, ove ne è stata richiesta la chiusura, un utente su quattro ha meno di 18 anni), con variabili ad alto rischio come l’adolescenza e l’anonimato, che si diffonde a macchia d’olio perché permette di mandare messaggi anonimi che spesso sconfinano nel cyberbullismo e, di contro, esclude ogni controllo da parte degli adulti, che spesso non sono in grado di intervenire perché non conoscono il mondo social-virtuale dei loro figli.

Peraltro, posto che la prima tutela avviene sempre in famiglia e che i genitori devono seguire i figli nel percorso di crescita, a questo punto anche tecnologica, la loro supervisione non basta.

Negli Stati Uniti, dal 2000 è in vigore il Children’s Online Privacy Protection Act, che stabilisce che i siti e i social network che raccolgono dati personali di minori di età inferiore ai 13 anni debbano presentare la dichiarazione della politica seguita in materia di privacy, nella quale siano specificate le modalità di utilizzazione dei dati. Tali siti, per potere raccogliere qualsiasi tipo di dato personale, devono preventivamente ottenere il documentato consenso dei genitori.

In Italia, ormai ex culla del diritto, pur nel contesto di una tutela forte della privacy, manca una normativa che stabilisca il regime dei dati personali dei minori. L’8 gennaio del 2014, durante una riunione tecnica del Ministero per lo Sviluppo Economico dedicata a combattere il cyberbullismo, è nata la prima bozza di un testo normativo per la prevenzione e il contrasto del fenomeno, a seguito di gravi fatti di cronaca che hanno registrato gesti estremi di giovanissimi oggetto di insulti e diffamazioni su Internet. Dalla proposta, che doveva portare alla creazione di un Codice di autoregolamentazione per i fornitori dei servizi di social network, non è scaturito altro. Sembra mancare la consapevolezza, da parte del sistema giuridico, dell’esistenza di una perfino troppo ampia gamma di situazioni che derivano dall’uso delle nuove tecnologie.

Nel 2010 i più grandi fornitori di piattaforme di social network, tra cui Facebook, Google/YouTube, MySpace, Microsoft e Yahoo!, hanno sottoscritto in Lussemburgo, in occasione della giornata ‘Safer Internet 2010’, un accordo europeo che contiene una serie di regole volte a migliorare la sicurezza dei minorenni che navigano in internet e far fronte comune contro i rischi potenziali a cui sono esposti i più giovani come l’adescamento da parte di adulti, il bullismo online e la divulgazione di informazioni personali. Meglio che niente, ma si tratta comunque di un accordo, non di una legge, e pertanto potrebbe non aver conseguito lo scopo di tutelare i dati personali del minore, attribuendo loro una effettiva dignità.

Una maggiore sensibilizzazione al fenomeno rappresenterebbe un traguardo innovativo nel nostro Paese. Il mondo digitale non può più essere guardato come un ambiente virtuale, quasi fosse metafisico, tanto da sfuggire a ogni normazione o controllo da parte del soggetto pubblico. La rete non è avulsa dalla legge: le realtà che si pongono al di fuori di essa vanno punite. Sarebbe poi auspicabile la rinascita di una disciplina da insegnare nelle scuole, una nuova ‘educazione civica’ che sia anche ‘educazione tecnologica’, dando spazio (e dignità!) maggiore agli insegnanti, che un tempo, che sembra ormai remoto, tanto peso avevano sulla nostra formazione.

Sui temi connessi all’uso delle nuove tecnologie (dal cyberbullismo all’hate speech, tanto per fare due macroscopici esempi), vista l’esplosione dei social network e l’aumento esponenziale del numero dei più piccoli che li usano, è giunto il momento interrogarsi seriamente, come sul relativo vuoto normativo e sui possibili strumenti legislativi da porre in essere, atti a evitare ingerenze nefaste sulla personalità del minore, per la salvaguardia della sua integrità fisica e morale.


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