La solitudine di don Pino - Live Sicilia

La solitudine di don Pino

Quanti hanno capito il messaggio di don Pino? Quanti, fuori e dentro la Chiesa, sono davvero pronti a seguire le sue orme?

Non ho conosciuto Padre Puglisi. Avremmo dovuto vederci il 16 Settembre alle 10,

ma la sua morte lo impedì.

Solo qualche mese prima avevo avuto la percezione di un suo significativo impegno a Brancaccio in seguito agli attentati effettuati al cantiere della Chiesa e alle iniziative pubbliche che aveva organizzato per commemorare Falcone e Borsellino.

Il 25 luglio del 1993, mentre lui era impegnato, avendo coinvolto tutto il quartiere, in una giornata di dibattiti e di giochi con i ragazzi per ricordare Borsellino alla presenza della sorella Rita, io, Paolo Agnilleri, Nino Alongi e Padre Leta eravamo a pochi centinaia di metri, a Settecannoli, con Salvatore Borsellino. Commemoravamo un bimbo ucciso dalla mafia insieme al padre per un regolamento di conti tra mafiosi.

Per questa ragione cercai un contatto con Don Pino. Volevo offrirgli l’impegno del Movimento Una Città per l’Uomo per le sue battaglie, unire le forze per meglio operare nei due quartieri limitrofi, organizzare la scuola Falcone per i giovani, preparare la venuta di Luciano Violante che avevamo invitato per inaugurare all’ITI Volta l’anno scolastico a Palermo. Sarebbe seguita una ricognizione sulle inadempienze e sulle incompiute dell’ Oltre Oreto di questo parlammo al telefono e di questo avremmo dovuto discutere l’indomani della sua improvvisa e drammatica morte.

Per i mafiosi Don Pino era un parroco eversivo e rivoluzionario perché insegnava a piccoli e grandi a rivendicare i propri diritti.

Rappresentava una Chiesa scomoda che rifiuta ogni atteggiamento di compromesso, che si fa ammazzare per il Vangelo e la libertà della gente, che insegna la legalità e l’autonomia ai giovani.

Con fierezza e a testa alta Puglisi rappresentò a Brancaccio un prete a cui i mafiosi non erano abituati.

Un prete che affronta i problemi del quartiere, che individua subito nella mancanza della scuola uno dei motivi della dispersione scolastica e della microcriminalità che si batte per l’istituzione del distretto socio-sanitario e di un centro sociale.

Rappresentava una Chiesa che sta dalla parte degli ultimi e che con le istituzioni si muove a viso aperto. Fuori dai compromessi che sono propri dell’ agire mafioso.

Per questo padre Puglisi è il martire simbolo di Palermo perché rappresenta una realtà drammatica, quella di un quartiere uguale a tanti altri nella nostra città, in cui la mafia mortifica la dignità umana.

Ma la sua attività aveva delle debolezze. Infatti, a parte coloro che aveva conosciuto nel corso del suo servizio sacerdotale e che lo aiutavano nel difficile lavoro a Brancaccio, egli era solo. La sua attività pastorale e il suo progetto sociale e culturale del territorio non lo condivideva con nessuno.

Perché la pastorale di Puglisi era solo sua, non della chiesa palermitana.

Questa quando inviò Don Pino a guidare la parrocchia di San Gaetano non aveva elaborato; alcuna pastorale per contrastare la mafia. Il suo impegno sulla mafia era piuttosto di generica denuncia, anche se un gruppo di giovani sacerdoti già da tempo testimoniava altre idee e stimolava, non sempre senza conseguenze, le gerarchie a prese di posizioni più nette.

Dopo la morte di Puglisi, nonostante un passato di silenzi, la chiesa siciliana a livello di documenti è uscita dall’ambiguità scrivendo giudizi di condanna e di rottura. Ma quanti nella chiesa hanno condiviso questi documenti? Cosa è realmente cambiato dopo la morte di Puglisi.

I primi anni furono di grande disorientamento. E’ ciò che abbiamo cercato di documentare nel libro “Palermo nel gorgo” io e Nuccio Vara.

La salma di padre Puglisi sembrò in un primo tempo creare più imbarazzo che stimolò alta ribellione.

L’accelerazione successiva, sollecitata dalla società civile e dal clero più avanzato e dopo che la magistratura ebbe chiarito i motivi dell’omicidio, ha portato finalmente Don Pino sugli altari. Ma la nostra comunità, Palermitana, ha davvero maturato fino in fondo il martirio di Don Puglisi? Siamo veramente diventati, come dice Nino Fasullo, tutti “puglisani” e quindi abbiamo le carte in regola per alzare altari in suo onore?

Padre Puglisi, ci interpella ancora oggi.

Egli ha anticipato la Chiesa di Francesco vivendo e morendo per il riscatto degli ultimi. Ma Puglisi con la sua morte interpella soprattutto la città, le istituzioni e i suoi governanti, che hanno sottovalutato e lasciato prosperare il potere al criminale, all’illegalità, alla violenza, permettendo alla mafia di esercitare il suo potere sui giovani, sui cittadini.

Puglisi è Santo ed è uno straordinario esempio e il coraggio di denunciare la situazione degradata, e succube della mafia di tutti i Brancaccio di Palermo.

Oggi nelle nostre periferie le criticità sono ancora pesanti e fortemente aggravate dalla crisi economica e dalla disoccupazione.

È necessario un chiaro investimento culturale dove Chiesa e Istituzioni si facciano protagonisti di progetti di sviluppo e di solidarietà, onde ridare alla nostra città la forza di credere e di sperare in un futuro migliore, come già avvenuto in momenti anche recenti della nostra storia. Ricordo Città per l’Uomo che aveva individuato nei quartieri una possibilità di riscatto della città. Il suo impegno contagiò la città e portò alla nascita dei consigli di quartiere prima e delle circoscrizioni dopo.

Ma col tempo quello che si pensava fosse un punto di non ritorno si è annacquato, ed è diventata routine e nel caso dei quartieri stipendificio.

La città, per uscire dal gorgo, ha bisogno di ripartire con umiltà, attivando processi di partecipazione chiamando a discutere il meglio delle sue energie e delle sue intelligenze. E’ necessario cresca una nuova classe dirigente, che guidata anche dall’insegnamento del Beato Puglisi, sappia essere coerente e coraggiosa.

 


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