Beni confiscati alla mafia |“La morte di La Torre non sia vana” - Live Sicilia

Beni confiscati alla mafia |“La morte di La Torre non sia vana”

Allo Sheraton si è parlato delle buone pratiche da adottare nella gestione dei patrimoni sottratti ai boss. Sull’inchiesta della Procura di Caltanissetta prevale il garantismo. Tra i relatori l’onorevole Nello Musumeci e Chiara Barone, presidente Addiopizzo Catania.

CATANIA. Una volta catturati i boss tra gli obiettivi da portare a termine si presenta quello di un riutilizzo sociale dei beni confiscati: ma è una questione tutt’altro che semplice. La cronaca di questi giorni sta sollevando un caso e numerosi interrogativi, ma tutto è ancora da provare. Intanto, ieri a Catania si è parlato delle misure e delle buone pratiche da adottare secondo i criteri di trasparenza nella gestione dei patrimoni sottratti ai boss, in occasione del meeting “Le false società, le nuove opportunità di welfare ed i beni confiscati alla mafia”. Un evento organizzato dalla sezione provincia di Catania dell’Associazione nazionale Consulenti del lavoro. Fra gli intervenuti Nello Musumeci, deputato regionale e presidente della commissione regionale Beni confiscati alla mafia. A seguire: Vincenzo Barbaro, presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Palermo; Erasmo Palazzotto (Sel), deputato della Camera e vice presidente della commissione Esteri, Mauro Grasso( Ugl) e Chiara Barone, presidente di Addiopizzo. A moderare Guido Sciacca vice presidente nazionale Ancl.

Un meeting il cui tema assume ancor più rilevanza alla luce della recente bomba giudiziaria scoppiata a Palermo riguardo la gestione dei beni confiscati alla mafia, appunto. Finiti sotto inchiesta diversi nomi di amministratori giudiziari, fra cui ormai l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, il marito e ingegnere Lorenzo Caramma, e Gaetano Cappellano Seminara. Le accuse contestate dalla procura di Caltanissetta sono pesanti: corruzione, induzione alla concussione e abuso d’ufficio. Di ieri la notizia che dalle numerose carte trasmesse a Palermo dalla procura di Caltanissetta salta fuori anche il nome di Walter Virga, altro noto amministratore di patrimoni confiscati. L’inchiesta ha portato il nucleo di polizia tributaria a sequestrare un ricco materiale, tra fatture, telefoni e computer all’interno della concessionaria Nuova Sport Car con sede a Isole delle femmine. Ma da Catania in merito alla delicata vicenda prevale la linea garantista.

Musumeci è cauto e non intende esprimere giudizi affrettati, sebbene lasci intendere che in generale il tema non sia una novità. “Non si commentano le inchieste. – dichiara Nello Musumeci a LiveSicilia – Sono il presidente di una commissione parlamentare, c’è un momento in cui ebbene fare politica di parte ma c’è un momento in cui si deve rispettare l’istituzione che si rappresenta. Da presidente della commissione Antimafia posso solo dire che ho fiducia nell’operato della magistratura”. Ma aggiunge: “La necessità di accendere i riflettori sulla gestione dei beni confiscati è un tema che la commissione aveva già proposto lo scorso anno quindi in tempi assolutamente non sospettabili. Avevamo udito, – prosegue – imprenditori di aziende confiscate e giornalisti, raccolto degli elementi importanti che ci avevano portato a denunciare alla stampa l’esigenza di fare chiarezza su quel fronte e al contempo investimmo della vicenda anche il prefetto di Palermo, Umberto Postiglione e il ministro degli Interni”.

L’onorevole inoltre risponde a tono chi, a suo dire, tenderebbe con troppa facilità a scagliarsi contro la politica. Non ci sta a sentirsi un bersaglio nel mirino di quanti invece dovrebbero, a suo avviso, riconoscere parte di responsabilità in merito alle scelte fatte dentro le urne. L’onorevole parla chiaro e contraccambia il colpo. “Credo che questa realtà abbia molti punti deboli. – spiega – Siamo chiamati in causa tutti, certamente: magistrati e politici. Ma noi siamo il vostro specchio – precisa – siamo quello che voi avete scelto di avere. La politica è indispensabile, ma smettiamola con l’antipolitica e iniziamo a distinguere la politica pulita da quelle sporca”. Sulle buone pratiche di riutilizzo delle confische, “Il legislatore nazionale – dice – sta perdendo tempo. All’Ars ci stiamo sforzando perché s’intraprenda un nuovo corso. Se il bene viene concepito come qualcosa da conservare è sbagliato. Occorre salvare le aziende sane secondo un chiaro modello di selezione. In ogni sede di Corte d’appello – fa presente – se si istituisse un pool atto a conoscere la natura dell’azienda: se questa è sana o è nata solo per coprire gli affari sporchi della mafia. Ci sono molti casi in cui a vincere non è mai lo Stato, ma la mafia purtroppo, come è accaduto in molti Comuni sciolti. E’ necessario – dice – rivedere la normativa e adottare un sistema più sofisticato di governance. Ridare dignità alle aziende confiscate alla mafia. Gli esempi ci sono, non sempre e non ovunque lo Stato alza bandiera bianca. C’è il caso dell’Hotel San Paolo di Palermo: continuano ad assumere e gli utili sono in attivo. A Palermo coi sono quartieri come lo Zen dove una volante della polizia non può neanche entrare. Sono migliaia le famiglie che occupano abusivamente alloggi popolari: ebbene ci si convinca che la lotta alla mafia non può essere solo una lotta armata. I comuni sciolti alla mafia, gli imprenditori colpiti dall’estorsioni: c’è un lasso di tempo – conclude – in cui ci si gioca la partita”.

Ma dissente da buona parte delle parole di Nello Musumeci, Chiara Barone, presidente AddioPizzo Catania, che battagliera afferma: “E’ inaccettabile parlare di ‘lotta tra mafia e stato’. Dire che se lo Stato commette un errore, inevitabilmente a vincere la partita è la mafia, significa mettere la mafia già allo stesso livello dello Stato. E’ non è così. Lo Stato è molto di più, deve esserlo. La mafia non può essere considerata così forte, è un messaggio sbagliato. Le ‘offerte di lavoro’ derivanti dal sistema mafioso sono solo delle illusioni”. Ma in merito ai commercianti che a Catania denunciano il pizzo riporta dati poco confortanti.

“Addiopizzo – prosegue Barone – spesso nelle sue attività antiracket si sente impotente. Catania ha una storia diversa rispetto a Palermo. Ha sempre avuto le associazioni antiracket fin dagli anni ‘90. Eppure qui si denuncia ancora poco rispetto a Palermo. Quella è una città che ha vissuto le stragi sulla sua pelle, ha visto il sangue. E’ più incline a denunciare il pizzo. A Catania la voce della coscienza sociale si sente con maggiore fatica. Chi ha il potere di fare le cose perde tempo e non fa nulla. Che senso ha parlare di legalità? Pio La Torre, da cui abbiamo ereditato una normativa, direbbe di essere morto per nulla”.

Puntare sulla semplificazione attraverso una normativa più snella è invece la formula di Erasmo Palazzotto. “Adottare – spiega – un testo unico sui beni confiscati alla mafia sarebbe utile in termini di semplificazione. Dal periodo di sequestro dei beni fino al vero e proprio affidamento le aziende finiscono sempre per fallire. Ecco perché sarebbe utile istituire, per esempio, un fondo con gli stessi soldi che vengono confiscati per rimettere in moto le aziende. Si potrebbero applicare le leggi che ci sono, per esempio”. In merito invece alla decisione del presidente del Tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, che ha deciso di istituire l’albo degli amministratori giudiziari in assenza di uno nazionale, seppur previsto dalla normativa, afferma, “Ma l’argomento sarà affrontato al più presto. – dichiara – L’albo degli amministratori è indubbiamente uno strumento importante , ma l’istituzione dell’albo dovrebbe essere in armonia con quello nazionale, al momento inesistente. Dunque, co chiediamo come sia partito l’iter”.

“La gestione delle aziende tolte alla mafia va condotta adottando appieno gli strumenti e capire quando non ci si trova di fronte a condizioni antieconomiche. Occorre sempre valutare se ci sono le condizioni per il proseguo dell’attività economica. In assenza dei requisiti questa va immediatamente indirizzata nell’ambito del Welfare, specie per salvare i lavoratori. Creare meccanismi d’incentivazioni perché il personale venga riutilizzato altrove, per esempio attraverso la mobilità territoriale”, ha detto infine nel suo intervento Vincenzo Barbaro, presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Palermo.


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