Chiesta condanna per Finocchiaro |"Lettere con il gotha dei Cappello" - Live Sicilia

Chiesta condanna per Finocchiaro |”Lettere con il gotha dei Cappello”

Requisitoria fiume quella delle pm Antonella Barrera e Giovannella Scaminaci. Orazio Finocchiaro è accusato di essere uomo di vertice del clan Cappello e di aver progettato un attentato (mai eseguito) nei confronti di un magistrato della Procura di Catania.

CATANIA – Sebastiano Lo Giudice era al 41 bis e Orazio Finocchiaro avrebbe assunto il potere decisionale del clan Cappello “dentro e fuori” dal carcere. E le parole “dentro e fuori” non solo casuali, perchè sono pronunciate in moltissimi passaggi della lunga requisitoria delle pm Antonella Barrera e Giovannella Scaminaci terminata con la richiesta di pena al Tribunale di Catania a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa nei confronti di Orazio Finocchiaro. Al boss, inoltre, è attribuita la paternità del progetto –  contenuto in due “pizzini” – di uccidere nel 2011 un magistrato della Procura di Catania.

L’udienza si è aperta con l’acquisizione materiale di alcuni atti già ammessi dal Giudice nel procedimento e con la richiesta da parte della difesa, rappresentata dagli avvocati Francesco Strano Tagliareni e Giuseppe Marletta, di produrre alcuni verbali. Accolta la deposizione dei faldoni (omissati) contenenti le dichiarazioni di Giacomo Cosenza, mentre è stata rigettata l’istanza di acquisire una relazione del pm Pasquale Pacifico (a cui era diretto il progetto di attentato) indirizzata all’allora capo della Procura, Giovanni Salvi.

La requisitoria dell’accusa è una “scansione cronologica” dei fatti e degli elementi probatori che ricostuiscono “il mutamento di ruolo di Orazio Finocchiaro da affiliato (anche se di rilievo) a organizzatore con ruolo di dirigente del clan Cappello Bonaccorsi”. Una prosecuzione alla partecipazione mafiosa come dimostra la sentenza di condanna nel processo abbreviato Revenge. L’inchiesta che fece scattare le manette ai vertici e ai soldati del clan Cappello Bonaccorsi pronti ad avanzare una lotta armata contro i Santapaola.

Si parte dalle dichiarazioni di Giacomo Cosenza, personaggio chiaroscuro – come evidenziano le stesse pm – proveniente dalle file degli Sciuto Tigna ed ex collaboratore di giustizia a cui era stato revocato il programma, che rappresentano solo “un imput investigativo e non una prova. E solo il punto di partenza e non quello di arrivo” – è un concetto che più volte viene ribadito da Antonella Barrera e Giovannella Scaminaci.

E’ nel 2011, precisamente l’otto ottobre, che Cosenza parlerà di “astio” nei confronti del pm Pasquale Pacifico. Il 17 ottobre l’ufficio matricole acquisce i pizzini e da quel momento partono le intercettazioni dei colloqui in carcere proprio del Cosenza. “Perchè la Procura – afferma Giovannella Scaminaci – sin dal primo momento è stata cauta sapendo da chi provenivano le informazioni”. L’ultima data citata è l’11 novembre 2011, quando Cosenza sarà interrogato dalla magistratura e dirà che le “sollecitazioni” sarebbero arrivate nel corso dell’estate. Cosenza – secondo le pm – vive un momento di ansia e confusione. Questo emergerebbe dalle intercettazioni in carcere durante il colloquio con la madre dove afferma: “ma perchè non se la fanno da soli questa cosa?”. In quella stessa conversazione accenna ai “32 colpi da scaricare” sulla testa del pm. Ad un certo punto Cosenza va oltre e prevede l’indignazione di Ianuzzo (Iano Lo Giudice) e del “pecoraro” (Orazio Privitera) tirati in ballo nei bigliettini, e allora chiede alla madre di parlare con Tina (Tina Balsamo, moglie del capomafia Orazio Privitera). Cosenza va troppo oltre – secondo la pm – per pensare di essere intercettato.

Dura oltre due ore la requisitoria e l’apparato probatorio sviscerato è molto ampio. Nei pizzini si fa riferimento a un certo Alberto, che poi sarà identificato come Alberto Indelicato. Sarebbe lui il “postino”. A questo proposito c’è un rapporto disciplinare nei confronti di Indelicato accusato di ricevere informazioni da altri blocchi del carcere dove è detenuto. Cosenza, poi, fornisce un altro spunto investigativo: “Orazio Finocchiaro manda corrispondenza a tutti”. E dall’analisi dei rapporti epistolari emergono contatti con tutto il “gotha dei Cappello”. E non solo. Si registrano contatti anche con i vertici di altri clan: come Andrea Nizza. E da un’intercettazione emerge anche il nome di “Nuccio U Carcagnusu”, il capomafia Nuccio Mazzei.

Orazio Finocchiaro avrebbe informato tutti che era lui il nuovo vertice visto che i capi erano al 41bis. Il collaboratore Natale Cavallaro consegna ai magistrati una lettera firmata dallo zio Salvatore Ferrera in cui è presente anche un messaggio di saluto di Orazio Finocchiaro, dove lo informa che “comanda del tutto e per tutti”. Dalla sintesi offerta dalla pm Antonella Barrera emerge come Finocchiaro avverte Cavallaro che ora comandava “dentro e fuori dal carcere” ed era stata una decisione del “compare che non era libero”. Per le pm il “compare” altro non è che Sebastiano Lo Giudice. Ulteriore prova dell’appartenenza mafiosa e un’intercettazione captata dalla Polizia nell’ambito di un altro procedimento, sempre a carico di Finocchiaro. La madre dell’imputato legge a voce alta a casa di Giovanni Musumeci una lettera ricevuta dal figlio: i toni usati nella missiva sarebbero “quelli del capo che rimprovera e impartisce ordini anche sulla gestione di una piazza di spaccio”.

L’ultima parte della requisitoria è dedicata ai “famosi pizzini” e alle svariate perizie calligrafiche. I Ris di Messina – già prima dell’apertura del dibattimento – escludono che i bigliettini possano essere stati scritti da Giacomo Cosenza. La polizia scientifica invece ha dato una certezza: la mano che ha scritto i pizzini è la stessa che ha compilato le istanze del detenuto Orazio Finocchiaro. Si saprà solo in un secondo momento che l’imputato si serviva di altri detenuti per i moduli del carcere. E se per il perito della procura il saggio grafico di Finocchiaro è incompatibile con la grafia dei pizzini, lo “scribano” invece è compatibile. Antonella Barrera al Tribunale illustra  incongruenze e anche “errori” della consulenza depositata dal collegio di tre periti nominati dal Tribunale, dove in una pagina si parla di “discreta probabilità” e nelle conclusioni di “probabilità” con la grafia del Cosenza. Per la pm mancherebbe un rigoroso metodo scientifico.

A portare un colpo di scena nel dibattimento è stato prima della pausa estiva il neo collaboratore di giustizia Giuseppe Scollo, che racconta di un colloquio in carcere con lo zio di Orazio Finocchiaro, Franco “Iattaredda” si lamentava proprio del nipote che aveva progettato l’attentato a un magistrato. “Ma che si sente Toto Reina?” avrebbe commentato Franco Finocchiaro durante l’ora d’aria in carcere. Un ulteriore elemento per attribuire la “paternità” a Orazio Finocchiaro di quel progetto omicidiario, cioè a colui che “in quel momento storico era il capo dei Cappello”.

La parola ai difensori il 28 settembre: si prevedono almeno due udienze dedicate alle arringhe degli avvocati Strano Tagliareni e Marletta. Poi ci sarà la sentenza.

 

 

 


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