Beni confiscati, quell'antimafia | che somiglia a una cosca - Live Sicilia

Beni confiscati, quell’antimafia | che somiglia a una cosca

La storia che arriva da Palermo sui beni confiscati è indicativa. Il marciume che emerge dalle indagini su una struttura giudiziaria antimafiosa che si comporta come una cosca mafiosa non è un episodio isolato. Da 'Panorama' in edicola.

Al centro della vicenda c’è una giudice palermitana, Silvana Saguto. Presidente della sezione del Tribunale che nomina gli amministratori giudiziari dei patrimoni, delle imprese e dei conti sequestrati a Cosa nostra, Saguto da anni affida molti incarichi allo stesso avvocato, Gaetano Cappellano Seminara, che come compenso ha già ricevuto più di 6 milioni di euro. Per non parlare degli emolumenti che percepisce come consigliere d’amministrazione delle diverse società di cui è amministratore giudiziario. L’avvocato, grato della fiducia, a sua volta restituisce il favore scegliendo come consulente ben retribuito il marito della Saguto. Ma le spese pazze e la voracità di indecenti privilegi a spese dello Stato da parte della famiglia Saguto non conoscono limiti. Come la rete di interessate connivenze. Elio Caramma, figlio della giudice e chef di ristorante, si laurea in economia con una tesi di cui non conosce nemmeno il titolo. Secondo i giornali, gliel’avrebbe scritta il professor Carmelo Provenzano dell’Università di Enna, anche lui nel giro dei consulenti giudiziari come il collega che dopo il vittorioso esame di laurea del giovane Caramma riceve un bonifico di 2 mila euro.

Un altro prescelto dalla Saguto le riempie la tavola di pesce fresco (sei chili in una volta), «onorato di poterle fare una cortesia». Anche il prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, si onora di offrire Villa Payno, residenza della prefettura, per i ricevimenti privati della Saguto. Questa madre addolorata, pressata da urgenze familiari inelubili, non esita a farsi consegnare nottempo (in un trolley) dal solito Cappellano Seminara «documenti e documentazioni» che gli inquirenti di Caltanissetta sospettano essere contanti frutto di tangenti. Un’altra parte del bottino sembra sia stata occultata nella casa del padre della giudice, che per questo è accusato con la figlia di autoriciclaggio. Naturalmente la giudice Saguto non è la sola inquisita tra i magistrati del Tribunale di Palermo. Oltre a colleghi dell’ufficio che presiede, tra gli indagati per corruzione le fanno compagnia Tommaso Virga, già esponente del Consiglio superiore della magistratura e presidente di un’altra sezione del Tribunale, e con lui il figlio Walter, giovane avvocato palermitano alle prime armi cui, nondimeno, è stata affidata la gestione del patrimonio di 800 milioni di euro confiscato a Vincenzo Rappa, un imprenditore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Il marciume che emerge dalle indagini su una struttura giudiziaria antimafiosa che si comporta come una cosca mafiosa non è un episodio isolato. Nell’intervista rilasciata a Panorama (sul numero del 14 ottobre) il grande collettore dei sequestri giudiziari, l’avvocato Cappellano Seminara, afferma che il sistema di Palermo vige più o meno uguale dappertutto. Dalle intercettazioni pubblicate risulta che anche al Tribunale di Roma ci fossero orecchie attente e volontà molto disponibili a raccogliere le raccomandazioni di bravi amministratori e consulenti giudiziari che provenivano dalla Saguto. E Walter Virga, il giovane avvocato che amministra il patrimonio dei Rappa, parlando con la nuora della Saguto che ha assunto in studio come collaboratrice («Con lei abbiamo pagato il nostro pizzo») si mostra sicuro di una totale impunità grazie al padre giudice: «Guarda te lo dico per esperienza, da figlio di magistrato: i magistrati si difendono tra di loro. Quindi, tutte queste polemiche… io ti dico che pure se non fossero falsità, e lo sono sino al terzo grado di giudizio, 8 mila magistrati ne difendono uno». (Repubblica, martedi 20 ottobre).

E la stessa Saguto ha potuto ribattere ai giornalisti: «Il nostro è un sistema studiato anche a livello nazionale come base della legge… Adesso tutti ci accusano, ma fino a qualche tempo fa nessuno aveva niente da ridire. Nei giorni delle polemiche abbiamo avuto il sostegno del presidente del Tribunale Leonardo Guarnotta, della Commissione parlamentare antimafia e del Csm». In effetti, se si guarda alla velocità da bradipo del Csm nell’affrontare il caso e all’indugio che permane ad adottare almeno un provvedimento cautelare di sospensione degli indagati dalle funzioni, si direbbe che il rampante avvocato Virga abbia ragione. Lo stesso ministro della Giustizia ha atteso per quasi due mesi dall’emersione dell’inchiesta per chiedere, il 27 ottobre, la sospensione di Saguto dalle funzioni e dallo stipendio. Nuove rivelazioni sullo scandalo di Palermo sono emerse nel corso del congresso di Bari dell’Associazione nazionale magistrati, eppure non si sono levate voci preoccupate, ferme denunce, accorati appelli a una rigenerazione interna. Neanche per sogno: il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli ha ignorato l’argomento e il segretario ne ha fatto menzione in modo così sfumato e criptico che nessuno se ne è accorto.

Solo Piergiorgio Morosini del Csm ha ricordato, con delicato eufemismo, che «non era la prima volta che magistrati fossero coinvolti in cordate di personaggi non limpidi che facevano affari». Poi pago di tanta audacia, si è subito rassicurato: «Noi (magistrati, ndr) abbiamo una risorsa in più rispetto agli altri, il governo autonomo rispetto a quel che accade all’interno della categoria, un circuito che dai capi degli uffici passa per i consigli giudiziari e arriva al Consiglio superiore». Che bellezza. Finalmente è tutto chiaro: il miglior antidoto alla corruzione è che i controllati controllino se stessi. E la politica? Il ministro degli Interni Angelino Alfano, accennando allo scandalo di Palermo, ha tentato di rintuzzare l’attacco di Sabelli al poco fatto dal governo contro la corruzione politica. Ma subito lo ha corretto il collega ministro della Giustizia, rivolgendosi ai magistrati: «Con il livello di delegittimazione raggiunto dalla politica pensate davvero che la delegittimazione nei vostri confronti possa venire dalla politica?». Che penosa auto ritorsione: per spegnere una polemica con l’Anm Andrea Orlando ha spento la dignità della politica.

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