La sera prima dei Morti - Live Sicilia

La sera prima dei Morti

Mio padre mi disse: “Questo te l’ha portato mia madre”. E io, pur felice per il regalo tanto atteso, pensai che forse avrei preferito vedere lei, la nonna dagli occhi azzurri che non ho mai conosciuto, piuttosto che il suo stupido pallone bianco con i pentagoni neri.

La sera del giorno di Ognissanti andavamo a letto presto felici, io e mio fratello Ciccio. Erano appena iniziate le prime vacanze dell’anno scolastico: quelle dei Morti. Mio padre lasciava al solito posto, sotto lo specchio della stanza da letto dei grandi, un piccolo vassoio di frutta di martorana. E mia madre, che si fingeva ogni anno sorpresa, lo scartava l’indomani mattina strappando con gioia la carta celeste a righine di Magrì. Mentre noi bambini a piedi nudi e con indosso i pigiami di flanella – perché allora ai primi di novembre c’era già freddo – giravamo per casa alla ricerca dei regali. Una volta trovai sotto il divano buono del salotto un pallone San Siro, il massimo concesso a un piccolo tifoso di calcio prima dell’approdo al mondo dei grandi segnato dalle cuciture aspre del pallone di cuoio.

Il San Siro era fatto di gomma spessa e pesante; non si bucava quasi mai, ma quando lo prendevi in faccia erano dolori. Mio padre mi disse: “Questo te l’ha portato mia madre”. E io, pur felice per il regalo tanto atteso, pensai che forse avrei preferito vedere lei, la nonna dagli occhi azzurri che non ho mai conosciuto, piuttosto che il suo stupido pallone bianco con i pentagoni neri.

E poi un’altra volta, ricordo quando l’altra mia nonna mi portò a Messa nella Chiesa di Sant’Ignazio all’Olivella parlandomi del giorno in cui vi rientrò dopo la resurrezione dalle rovine dei bombardamenti. La piazza era uno sterrato già allora sotto il controllo di un posteggiatore e non come adesso un tappeto brulicante di tavolini e bottiglie di birra. Ma durante la Festa dei Morti l’uomo del fischietto cedeva il passo alle bancarelle con i pupi di zucchero colorati, le colline di frutta secca e i giocattoli. Tra i più popolari per i maschietti, naturalmente, le armi. Stringendo la mano familiare della nonna, salivo i gradini della Chiesa che avrei poi scelto per il mio matrimonio e guardavo stupito quei miei coetanei che s’inseguivano con le pistole in mano. E pensavo ai loro Morti che, per farsi ricordare con tenerezza, donavano loro succedanei di strumenti di morte.

C’è qualcosa di dolce e tanto di amaro nella Festa dei Morti. La festa in cui intere famiglie si trasferiscono nei cimiteri per parlare con Loro. Alcuni ripuliscono le tombe dalla polvere che hanno lasciato accumulare per un anno, altri tolgono mazzi di fiori appassiti, altri ancora si portano da mangiare come se quel posto a tavola che hanno sparecchiato per sempre potesse essere aggiunto di nuovo di fronte a una lapide. Guardando quei volti ingialliti sulle foto e leggendo quei nomi scolpiti, la nostalgia getta una luce ineguale sui ricordi. Una luce che illumina quelli belli lasciando nell’ombra i rancori, le liti, le incomprensioni. Sono tutti belli e cari i nostri Morti nel loro giorno. Anche se talvolta ci hanno fatto soffrire in vita più di quanto non riescano a fare da morti.

Alla mia età, i “miei Morti” sono ormai così tanti che davvero non saprei come dividermi se dovessi andare a visitarli tutti nel posto dove giacciono i loro corpi. Piuttosto che presenziare a questo mesto rito collettivo fatto di ingorghi silenziosi e palette dei Vigili Urbani, preferisco raggiungerli con lo spirito. Comunicare con Loro ricordando un episodio, uno sguardo, un sorriso, una frase. Mi vengono in mente parole mai pronunciate che adesso non posso più dire, ma che affido allo spazio infinito affinché giungano a loro come per incanto. Provo a immaginarli finalmente liberi dagli ultimi affanni. Giovani e forti nei loro vestiti più belli, anche se l’ultima immagine che mi porto dentro è quella legata all’odore dello stagno fuso e al cigolio di viti che serrano un cofano. Chissà se davvero da Lassù Loro ci guardano e vegliano su di noi come quando eravamo bambini. E chissà se, allora come adesso, ci tengono ancora per mano nel nostro cammino verso una casa di Dio. Mentre tutto intorno risuonano schiamazzi da mercato e colpi di pistola. Sordi, rumorosi e violenti. Come noi che crediamo d’essere, e non sempre siamo, vivi.

 


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI