Sicilia da quindici giorni senza un governo | La farsa senza fine del rimpasto - Live Sicilia

Sicilia da quindici giorni senza un governo | La farsa senza fine del rimpasto

Crocetta ha azzerato "politicamente" la giunta il 18 ottobre. Da allora, un balletto di ultimatum e annunci, di incontri e divisioni all'interno dei partiti. Una danza attorno al vuoto, e a questioni di poltrone. Che il governatore ha comodamente osservato da Tunisi o da Tusa, affidandosi al suo - sempre più stretto - cerchio magico.

PALERMO – Doveva essere un governo politico, pieno di “big” dei partiti. Ma quei politici hanno detto di no. Mentre i tecnici resteranno al loro posto, raggiunti da qualche nuovo “esperto”. Doveva essere il governo dell’azzeramento, quello della ripartenza. E a guardarlo bene, almeno per metà sarà uguale al vecchio. Così, dopo due settimane senza una giunta (prima azzerata “politicamente”, poi anche formalmente), il dubbio appare legittimo: a cosa è servita la lunga, snervante farsa del rimpasto?

Una farsa, una recita. Dove ognuno ha recitato la sua parte, non uscendone granché bene. A cominciare, ovviamente, da chi a questo rimpasto ha dato formalmente il “via”. Rosario Crocetta ha deciso, il 18 ottobre scorso, cioè quindici giorni fa, di “azzerare” la sua giunta. Quella, per intenderci, che doveva far “svoltare” un governo che per due anni si era rivelato inconcludente, chiassoso e confuso. A dire il vero – ecco il primo bluff – in quei giorni il governo è stato azzerato solo “politicamente”. Nessuna delega ritirata, insomma, ma gli assessori sono stati di fatto sfiduciati. Da quel momento, ecco la teoria degli annunci. Degli ultimatum che diventavano penultimatum, terzultimatum e quartultimatum. “Tra due giorni la giunta”, tuonava Crocetta. “Oggi i nomi, o faccio di testa mia”, insisteva qualche giorno dopo. “Entro 48 ore i partiti si decidano, comunque sia farò il governo”, qualche giorno dopo ancora.

In mezzo, come detto, ecco l’azzeramento vero. Il ritiro delle deleghe giunto in una mattina che precedeva un viaggio all’estero del governatore. Quel volo in Tunisia, nel pieno di un disastro politico e amministrativo. Con un governo che non c’era più mentre i Forestali assediavano l’Ars, i precari manifestavano per il centro di Palermo, protestavano i lavoratori dei Consorzi di bonifica e dell’Esa, mentre enti regionali pensavano al licenziamento dei dipendenti. Ma Crocetta ha deciso in quei giorni che la priorità era quella Fiera internazionale dove avrebbe contribuito all’internazionalizzazione delle imprese. Senza nemmeno poter contare, in quei giorni, su un governo in carica. Ovviamente, prima di partire, il quintultimatum: “Appena torno, il governo dovrà essere pronto. Non ci saranno tempi supplementari”. E invece i tempi supplementari ci sono stati. E persino la “lotteria” dei calci di rigore. Con nomi che entravano e uscivano dal governo che verrà, in base allo stato d’animo del momento. E soprattutto in base all’umore del governatore, al clima di Tusa Marina o ai consigli del cerchio magico, sempre più ristretto, ma molto attivo, soprattutto grazie all’opera del “solito” Beppe Lumia e della burocrate più politica di Sicilia, cioè Patrizia Monterosso. A Crocetta però, alla fine, potrebbe restare solo questo. Ha provato in tutte le maniere a rilanciare il nome di Antonio Fiumefreddo, annunciato come “assessore-chiave della nuova giunta” già un mese fa. E verosimilmente ci proverà fino a ll’ultimo. Ma il rischio, oggi, è quello che al presidente, dopo tutto questo caos, resti solo Mariella Lo Bello.

Una farsa, dicevamo. Condita da altri ingredienti. Le liti del Pd, ormai, non sono più una novità nella storia recente della politica siciliana. Si litigava con Lombardo presidente, durante direzioni regionali infuocate. E si continua oggi, con le divisioni basate molto spesso su questioni di poltrona, di incarichi. E come se non bastasse, ecco le farse del Nuovo centrodestra. Che vuole entrare al governo con un assessore “amico”, ma che nello stesso tempo spera che nessuno se ne accorga. E così, mentre il leader Alfano dice una cosa, in Sicilia si fa tutt’altro. Mentre a Roma assicurano: “Non entriamo”, a Palermo il nome gradito agli alfaniani (Francesco Vergmiglio) è già nella terna che verrà proposta da Area Popolare proprio in questi minuti.

Recite, come quelle portate avanti anche da Sicilia Futura. Che ha puntellato il cammino verso il rimpasto di comunicati bellicosi: “Vogliamo il vertice di maggioranza, vogliamo le regole, vogliamo due assessori”. Alla fine di assessore ne avranno uno (Croce), senza bisogno di passare da vertici e da nuove regole. Tutti a recitare una parte in commedia. Una commedia che va avanti da quindici giorni, come se la Sicilia potesse permetterselo.

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