Teatro Biondo, si alza il sipario | "Still Life" inaugura la stagione - Live Sicilia

Teatro Biondo, si alza il sipario | “Still Life” inaugura la stagione

Un momento di Still Life

Una storia crudele, impressionante, toccante, che racconta di bullismo omofobico, la discriminazione, il mobbing psicologico. Lo spettacolo del duo ricci/forte, per la prima volta a Palermo, sarà in scena fino 20 al 29 novembre.

PALERMO – Il sipario del Teatro Biondo di Palermo si è alzato venerdì sera su ricci/forte, il duo artistico più provocatorio e dirompente della scena teatrale italiana contemporanea che approda per la prima volta a Palermo, dal 20 al 29 novembre 2015 con Still Life (2013). “Siamo molto felici di essere in Sicilia, a Palermo per la prima volta – racconta Stefano Ricci – perché proprio qui al Biondo io e Gianni Forte ci siamo incontrati molti anni fa. Seppur diversi caratterialmente eravamo accomunati dalla stessa noia e dalla voglia di fuggire da un certo tipo di espressività teatrale. Da allora le nostre strade hanno preso una direzione identica insieme, ma distante dalla nostra base di partenza perché appunto arrivavamo dall’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, quindi da una formazione tradizionale e per questo eravamo destinati a un tipo di carriera abbastanza standardizzato. Nel nostro lavoro invece – continua Ricci -, non c’è mai un testo pre-costruito sul quale viene poi creato uno spettacolo, ma si sviluppa attraverso una contaminazione continua. Solamente il primo lavoro – Troia’s Discount – lo abbiamo scritto a posteriori”.

“Dal lavoro successivo fino ad oggi – aggiunge – tutto viene veramente costruito in scena, durante le prove. Si parte quindi da una serie di improvvisazioni rispetto al tema che viene selezionato per l’opera in corso e da lì si comincia a imbastire un’architettura di parole e di segni sul palcoscenico che viene poi, come tutte le cose, lavorata, rimaneggiata, legata però sempre a un discorso di non-rappresentazione, ma filtrata e cucita addosso a doppio filo con le esperienze di vita concreta dei performer che abitano la scena, in modo tale che non si sentano mai esecutori di una parola scritta ma in qualche modo coinvolti attivamente perché quello che viene scritto – seppur con le modalità espressive che ci appartengono – diventa comunque un peso più forte e poderoso perché li riguarda personalmente. La nostra è una metodologia basata sia sull’aspetto poetico della parola scritta e recitata in scena, sia sull’aspetto visionario: l’uno non prescinde dall’altro”.

Interpretato da Anna Gualdo, Giuseppe Sartori, Fabio Gomiero, Liliana Laera, Francesco Scolletta e Simon Waldvogel, con i movimenti curati da Marco Angelilli, Still Life è prodotto dalla Compagnia ricci/forte col sostegno del Teatro di Roma. Una storia crudele, impressionante, toccante, che racconta di bullismo omofobico, la discriminazione, il mobbing psicologico che spesso si conclude con un’inevitabile autodistruzione.

Lo spettacolo è un dolente “omaggio” all’adolescente romano, uno dei tantissimi, che si è tolto la vita due anni fa impiccandosi con la sua sciarpa rosa a seguito di ripetuti episodi di bullismo e discriminazione. Un teatro-danza vertiginoso, che scuote i sensi e le coscienze per smascherare e denunciare l’indifferenza di fronte a un fenomeno di violenza e incultura che si annida ovunque, ma che proprio nei licei, in età scolare, assume caratteristiche inquietanti e preoccupanti, perché rischia di marchiare irreversibilmente le coscienze e i comportamenti degli adulti di domani.

“Per attori s’intende sempre un vivere la vita degli altri – continua Stefano Ricci – un nascondersi dietro la storia scritta da qualcun altro, dietro lo studio di un personaggio. Dunque nascondersi dietro un paravento ed esibire una serie di qualità che sono vocali, di approfondimento psicologico, di intonazione, di studio di un personaggio che è qualcos’altro da te. In realtà invece il nostro lavoro è teso a togliere tutto quello che racconta il personaggio e quindi a sviluppare a 360 gradi una potenza e un’energia che appartengono alla persona che è in scena. Ecco perché i nostri sono performer: perché quello che accade in scena non è qualcosa di lontano dalla loro esperienza ma è soprattutto un mezzo che richiede un risveglio di ascolto differente. Il pubblico deve ricomporre lo spettacolo mentre lo vede, non può fruirne come se fosse una fiction o una storia cinematografica”.

“C’è bisogno di una riattivazione – dice ancora Ricci – . E in questo senso loro sono performer perché utilizzano ogni senso, ogni gamma espressiva: dalla laringe, al mignolo, ai capelli per raccontarsi, per raccontare da una parte la fatica di fare questo mestiere oggi che purtroppo – per la storia del nostro paese che proviene dal melodramma – viene inteso come una recita, come ‘la rappresentazione’, quando invece, visti gli esiti disastrosi della campagna culturale che non privilegia la dimensione artistica, la fatica di stare su un palcoscenico è quella di provare, attraverso l’esperienza poetica di uno spettacolo, a generare dei dubbi su quella che è la condizione dell’uomo oggi. Dal pubblico palermitano ci aspettiamo la reazione che poi ci auguriamo tutte le volte: generare dei dubbi, generare la possibilità di interagire. La difficoltà di relazionarci nella vita di tutti i giorni che sentiamo forte e presente noi cerchiamo di innescarla in teatro e quindi proviamo a relazionarci in un altro modo. Un modo più autentico, meno formale per tentare un dialogo. Pertanto l’aspettativa è un richiamo al dialogo, anche da parte del pubblico”.

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