"Pacco di biscotti di Ercolano |con l'ordine di uccidere Ilardo" - Live Sicilia

“Pacco di biscotti di Ercolano |con l’ordine di uccidere Ilardo”

Le rivelazioni di Santo La Causa, collaboratore di giustizia, teste del processo sul delitto di Gino Ilardo, ucciso nel 1996. A sorpresa Maurizio Zuccaro ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee alla Corte d'Assise.

CATANIA –  Santo La Causa avrebbe dovuto uccidere Gino Ilardo, ma i piani cambiarono all’improvviso. A raccontarlo è lo stesso collaboratore di giustizia ascoltato come teste nel corso del processo davanti alla Corte d’Assise. L’infiltrato della famiglia Madonia e confidente del colonnello Riccio è stato crivellato di colpi in via Quintino Sella il 10 maggio 1996. E’ Benedetto Cocimano a informare La Causa “che tutto era stato fatto”. “Quella sera ero a casa, dovevo rientrare entro le 21 perchè ero un sorvegliato speciale – racconta il pentito rispondendo alle domande del pm Pasquale Pacifico – intorno alle 22 Cocimano arriva tutto raggiante e mi dice ‘l’abbiamo fatto'”. Il riferimento era proprio all’omicidio di Gino Ilardo.

Cocimano, imputato nel processo insieme a Maurizio Zuccaro, il boss Giuseppe Piddu Madonia e Enzo Santapaola (figlio di Salvatore), avrebbe raccontato a Santo La Causa durante un incontro i dettagli dell’agguato. In particolare durante quella riunione (che si sarebbe svolta a casa di Zuccaro) Maurizio Signorino, uno dei killer, si sarebbe vantato di aver evitato che Ilardo scappasse: Giuffrida durante l’esecuzione del delitto sarebbe caduto e, quindi, sarebbe stato necessario il suo intervento. “Lo abbiamo trovato a casa che stava entrando la macchina in garage” – avrebbe raccontato Cocimano a Santo La Causa. Cocimano seguiva a distanza il delitto, pronto a preparare la fuga. I due killer, Giuffrida e Signorino, sono morti dopo qualche anno dall’omicidio Ilardo.

Insomma il gruppo di fuoco di Maurizio Zuccaro avrebbe agito senza Santo La Causa. Una sorta di accelerazione spinta – secondo il collaboratore – dallo stesso Zuccaro che aveva la “smania” di dimostrare ai vertici dei Santapaola e soprattutto avrebbe voluto uccidere Ilardo prima “di Aurelio Quattroluni” (all’epoca ai vertici di Cosa nostra catanese). Il collaboratore pone l’attenzione sul fatto che all’interno del clan si sospettava che Zuccaro e il padre fossero confidenti, ma ad un certo punto (anche senza il consenso dei capi) sarebbe riuscito lo stesso a diventare uomo d’onore di Cosa nostra catanese.

Facciamo un passo indietro. E cioè alla fase organizzativa dell’omicidio. “Enzo Ercolano, figlio di Giuseppe e fratello di Aldo, mi portò un pacco di biscotti sigillato dicendomi che me lo mandava suo padre e Enzo Santapaola, figlio di Benedetto”. – racconta Santo La Causa. Quel pacchetto conteneva il bigliettino “con l’ordine perentorio di uccidere Gino Ilardo”. Questa consegna sarebbe avvenuta nei dieci mesi tra il 1995 e il 1996 in cui il collaboratore di giustizia era fuori dal carcere.

Dell’ordine di uccidere Gino Ilardo era già stato informato anche Maurizio Zuccaro. Secondo La Causa le direttive arrivarono dal carcere grazie ai colloqui tra Maurizio Signorino e il fratello, all’epoca detenuto. “Ci dobbiamo sbrigare” – avrebbe sollecitato Zuccaro più volte. Ilardo sarebbe stato indicato come il responsabile dell’omicidio dell’avvocato Serafino Famà e per questo andava eliminato. A fornire l’indirizzo di casa e dell’azienda di Lentini dell’infiltrato sarebbe stato Lello Quattroluni. Ci sarebbero state diverse riunioni a casa di Zuccaro, secondo la versione del teste. Il periodo storico, però, è quello di una tensione molto forte tra Quattroluni e La Causa. Era appena stato ucciso Piero Licciardello e Santo La Causa sospettava fortemente che anche sulla sua testa pendesse una condanna a morte, visto che la vittima aveva una storia criminale molto vicina alla sua.

Si susseguono diversi sopralluoghi in via Quintino Sella (Il collaboratore Eugenio Sturiale racconta di aver visto La Causa alcuni giorni prima dell’omicidio Ilardo in quella zona). Il pentito racconta di aver allungato i tempi. E, forse, per questo decidono di agire senza di lui. Solo qualche mese dopo saprà dai giornali che Gino Ilardo era un confidente dei carabinieri. Tra il 1996 e il 1998 Santo La Causa, mentre è detenuto a Bicocca, avrebbe saputo che a commissionare l’omicidio sarebbe stato addirittura il cugino di Luigi Ilardo, il capomafia di Caltanissetta Giuseppe Madonia.

La Causa racconta altri due particolari sul delitto del confidente che portò i Ros a un passo dal covo di Bernardo Provenzano: tra il 2007 e il 2009 Enzo Aiello gli avrebbe confidato che era stato Gino Ilardo a farlo arrestare. E inoltre, avrebbe sentito dire, ma non ricorda da chi e quando, che il cugino di Piddu Madonia era coinvolto nell’ammanco di un’estorsione di un’acciaieria di Catania (un episodio che non aveva mai raccontato).

A sorpresa, dopo l’esame del teste da parte dell’accusa, Maurizio Zuccaro in collegamento dal carcere milanese di Opera, chiede di poter rilasciare dichiarazioni spontanee alla Corte D’Assise. Tra i tanti problemi di comprensione dovuti alla video conferenza Zuccaro punta l’indice su Santo La Causa e le sue dichiarazioni relative alla sua persona. “E’ un bugiardo” – lo apostrofa. “Natale Di Raimondo lo voleva ammazzare e lui è venuto da me a chiedere protezione. Io l’ho difeso con Aurelio Quattroluni che lo voleva uccidere”. E poi aggiunge: “Lui dice di aver ricevuto il pacco di biscotti con l’ordine, ma lui chi era all’epoca? Era una persona che non contava nulla, era un miserabile”. Maurizio Zuccaro ripete le parole già dichiarate durante il processo sull’omicidio Bonanno. E per questo il difensore Giuseppe Rapisarda chiede alla Corte di acquisire il verbale di udienza dove si “evincono anche nel corso del controesame le contraddizioni del collaboratore Santo La Causa”. Sull’accoglimento si deciderà nel corso della prossima udienza: quando il pm scioglierà la riserva dopo aver consultato gli atti. I difensori di Zuccaro, gli avvocati Stella Rao e Giuseppe Rapisarda, hanno inoltre nuovamente sollecitato la Corte d’Assise a intervenire con l’azienda sanitaria milanese per la perizia sulle condizioni di salute del loro assistito. Maurizio Zuccaro si è reso protagonista dell’episodio degli autosalassi registrati dalle telecamere dei carabinieri nei bagni del Vittorio Emanuele dove era ricoverato. Per la difesa, però, al di là della vicenda che ha destato clamore le condizioni di salute sarebbero peggiorate come dimostra l’ultimo controllo. “I valori dell’emoglobina nel sangue sono ulteriormente scesi” – ha detto l’avvocato alla Corte.

 


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