La Sicilia è il mio pensiero felice - Live Sicilia

La Sicilia è il mio pensiero felice

Davide Faraone replica alla lettera di Roberto Puglisi. Se siamo tutti d’accordo che a muoverci non siano abiti di scena, simboli posticci che i più ci attribuiscono, ma soltanto la forza dei nostri pensieri felici, allora sì, posso anche tornare a essere come Peter Pan e vi dirò di più, non ho mai smesso di esserlo.

Botta e risposta
di
4 min di lettura

Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti di non si sa quale manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica”. A prima giunta e superficialmente. È Pirandello a scrivere. Prende spunto da questo esempio per spiegare la differenza tra comico e umoristico, il primo mosso da un avvertimento del contrario, il secondo, risultato di una riflessione che scava dentro, mosso invece dal sentimento del contrario. Non voglio mettermi qui a fare analisi del testo né filosofia. Ma volevo essere sicuro di fare comprendere appieno il sentimento del contrario che mi ha travolto non appena ho letto la lettera indirizzatami idealmente da un amico dalle pagine di un giornale online.

Siamo sotto le feste e a tavola con i parenti o passeggiando con i cari con cui ci ritroviamo dopo settimane, mesi o anni, veniamo un po’ presi da quella atmosfera da amarcord, del “ti ricordi quando…”, “ e poi tu hai detto…”, “no, non era lui, era tuo cugino…”. Torniamo un po’ bambini, non perché ce lo dica la pubblicità della Bauli ma perché, in questa parentesi dell’anno, ci connettiamo più del solito con i nostri affetti più intimi.

E ci mettiamo a scrivere lettere, esercizi di stile idiosincratici. Indirizzandole, però, a personaggi del nostro palcoscenico mentale sbagliati. Caro Babbo Natale. La lettera apparsa in rete sarebbe dovuta cominciare così. Caro Babbo Natale. Perché è a lui, a questo personaggio immaginario e simbolico, il vecchio panciuto e barbuto che vive in Lapponia circondato da renne, elfi e regali, che da sempre siamo abituati a ricorrere per le nostre fughe dalla realtà, per i nostri desideri inconfessabili, per le nostre richieste che sappiamo che nessun essere umano realmente esistente è in grado di soddisfare. Babbo Natale è l’idea del possibile che custodiamo da bambini, quando siamo ancora così piccoli e incoscienti da non aver consapevolezza del nostro agire se non in termini di “buono” o “cattivo”. Se fai il buono Babbo Natale ti porta il regalo.

La lettera, che per il contenuto così naif non poteva che essere rivolta a un personaggio ideale, come appunto è Babbo Natale, è stata invece – erroneamente? – rivolta a un personaggio potente. Che a quanto pare sarei io. Potente. Etimologia latina, “colui che può”. Una parola della quale emerge sempre più l’effetto e non il percorso che ha portato a quell’effetto. Sono potente – non prendetemi per arrogante – perché, a un certo punto del mio percorso di vita, ho messo da parte rassicuranti personaggi immaginari a cui chiedere qualcosa, per mettermi io stesso a realizzare quella cosa. E a farlo non (solo) per me, ma per un sentimento di bene comune. Ho messo da parte gli ideali? No. Ho lavorato, e continuo a farlo giorno dopo giorno, per trasformare certe idee di bene in cose buone e concrete. Avete presente la dottrina platonica per cui il mondo delle cose corrisponde a un mondo – l’iperuranio – ultraterreno di idee di perfezione? Ecco, ci sono persone, siciliani potenti perché fanno e non per grazia ricevuta, che cercano di rendere il loro mondo delle cose sempre più simile alla perfezione pura delle idee. Altri che, per paura, per spocchia, per posa o semplicemente per apatia, si crogiolano nell’iperuranio, in quello di oggi, come in quello di ieri, additando le colpe degli altri che possono perché fanno giorno dopo giorno. Da soli o in compagnia.

Ricordate come faceva Peter Pan a volare? Non era per la calzamaglia o il costume. Volava aggrappandosi a un pensiero felice. Se siamo tutti d’accordo che a muoverci non siano abiti di scena, simboli posticci che i più ci attribuiscono, ma soltanto la forza dei nostri pensieri felici, allora sì, posso anche tornare a essere come Peter Pan e vi dirò di più, non ho mai smesso di esserlo. La mia mente non ha rimosso nessun singolo fotogramma della mia vita nelle periferie, non ho mai dimenticato un sorriso, una parola, una mano della terra che mi ha prodotto. Lo scirocco continua a soffiarmi nelle vene. Ma il mio pensiero felice è che questa terra possa essere un luogo prospero, consapevole delle sue risorse umane e non solo, all’altezza dei tempi e delle occasioni. Una terra protagonista e non sempre ripiegata su se stessa con la mano protesa. È questo pensiero felice che mi fa volare per cercare di cambiare le cose in meglio. Da dentro e non sempre dalla retrovia o dall’opposizione dove si può puntare il dito contro, nascosti dietro il vessillo degli ideali. Voglio farlo qui, non sull’isola che non c’è.

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI