Il cambiamento in Sicilia?| Al di fuori dei partiti - Live Sicilia

Il cambiamento in Sicilia?| Al di fuori dei partiti

Se coloro che potrebbero dare molto insieme si limiteranno a compiere una seppur brillante battaglia personale non approderemo ad alcun porto. E a vincere saranno i soliti noti.

Risulta oltremodo lacrimevole, lo confesso, continuare a denunciare la penosa condizione in cui agonizza la Sicilia per le chiare responsabilità di una classe politica complessivamente mediocre, con le dovute eccezioni, e di un governo regionale che possiamo certamente definire, nelle sue quattro declinazioni, tra i peggiori mai avuti. Proviamo, piuttosto, ad affrontare il tema del futuro. Con un recente articolo su Livesicilia, “La nostra sfida contro la cattiva politica” – probabilmente non a caso finora letto da 27.000 lettori – tratteggiavo un possibile scenario alternativo a quello prevedibile e logoro offerto dai partiti siciliani.

Uno scenario per le prossime elezioni amministrative a Palermo – ma vale ovunque – e per le regionali immediatamente successive (entrambe nel 2017). Il mio voleva essere, ed è, un appello ad una alleanza in Sicilia tra cittadini, associazioni, movimenti, soggetti istituzionali (i sindaci), liste civiche già esistenti o in via di formazione, per costruire un percorso della buona politica e del buon governo che, alla fine, giunga a delle liste civiche unitarie composte da donne e uomini di comprovata competenza e moralità. Un modo concreto per dire basta alla degenerazione in fondo alla quale è precipitata la politica siciliana, al sottosviluppo conclamato, a certa antimafia fasulla, alla corruzione diffusa.

Un’alternativa  all’astensionismo, a suggestioni di sicilianismo estremo, di leghismo in salsa sicula e, soprattutto, ai partiti, questi partiti, dimostratisi degli involucri vuoti e dannosi. Il PD siciliano, da me lasciato perché in balia di logiche correntizie e dei padroni delle tessere, affaccendato per sete di poltrone in un colpevole sostegno ai disastrosi governi Crocetta e, in ultimo, in operazioni di riciclaggio di vecchio personale politico, ad oggi non è  in grado di offrire proposte e candidature credibili agli elettori, né a Palermo né alla Regione. Anzi, assisteremo alle solite manovre scambiste “di Palazzo”, alle torbide soluzioni d’apparato, per assicurare a Palermo un sindaco frutto dell’accordo romano con i centristi e l’Ncd di Alfano e, a Palazzo d’Orleans, un esponente renziano.

Un piatto altamente indigesto per chi vorrebbe finalmente voltare pagina, ovviamente condito, accetto scommesse, con scontri alla baionetta fratricidi. Ce la fate, per esempio, a immaginare i salti di gioia dell’area di Raciti e Cracolici dinanzi a un’eventuale candidatura di Davide Faraone alla presidenza della Regione? In realtà, qualunque candidatura targata PD, allo stato degli atti, sarebbe divisiva. Poi ci sono i grillini, una forza ormai considerevole che spariglierà le carte ma che non potrà mai garantire in beata solitudine, per le spaventose condizioni finanziarie ed economiche della Sicilia e per la complessità di governo dei Comuni, una rivoluzione che non sia soltanto delle buone intenzioni.

Forse anche loro, spogliandosi della veste di detentori in esclusiva dei valori della moralità pubblica, dovrebbero considerare l’ipotesi di accordi ampi con le migliori espressioni dei vari mondi vitali e della stessa politica presenti in Sicilia. In tale quadro troviamo perfettamente armonica la ricandidatura, già annunciata, a sindaco di Palermo di Leoluca Orlando, figura abbastanza compatibile con iniziative di rottura di un inaccettabile sistema di potere, radicatissimo a livello regionale, gestito da partiti senza anima e da inquietanti cerchi magici.

Orlando, al netto di numerosi problemi ancora da risolvere, ha stabilizzato i conti, martoriati da imponenti tagli lineari dei trasferimenti agli enti locali; ha impedito a speculatori, mafiosi e faccendieri, a Palermo sempre in agguato, di mettere le mani sulla città; ha avviato, con la scelta di presidenti di specchiata rettitudine e adeguata competenza, il risanamento delle partecipate (alcune delle quali trovate saccheggiate, fallite o nel mirino della magistratura). C’è chi tira fuori la questione dell’età, argomento fragile se pensiamo che i due pretendenti al più potente trono della terra – la Casa Bianca – Hillary Clinton e Donald Trump, sono coetanei o addirittura più anziani del Professore.

A chi, invece, lo accusa di non aver saputo fare crescere attorno a lui una nuova classe dirigente vorrei chiedere quale classe dirigente, nuova per davvero, hanno saputo produrre in Sicilia i partiti, in definitiva i soggetti astrattamente titolati e attrezzati a farlo. In effetti, è vero, di giovani speranze, che vadano oltre il freddo dato anagrafico non di rado fuorviante, all’orizzonte non se ne vedono. Discorso a parte merita Fabrizio Ferrandelli, cui si deve riconoscere il coraggio di essersi dimesso da deputato regionale e di affrontare le piazze siciliane con un invidiabile entusiasmo.

Ma lui, mentre sto scrivendo, è ancora de iure e de facto nel PD ed è lì, quindi, che si dovrà candidare rischiando, alla squagliata della neve, di vanificare gli sforzi finora compiuti. I partiti, con le loro regole finalizzate all’autoconservazione appaiono irredimibili; al massimo, se hai un seguito, puoi imbastire l’ennesima corrente entrando in contraddizione. Inoltre, il PD lo candiderebbe a Sindaco di Palermo? A presidente della Regione? Ho fondati dubbi, anzi, sarebbero capaci di lasciarlo fuori financo dalla corsa per un semplice seggio all’Ars, dove, nella migliore delle ipotesi, mesto ritornerebbe dopo aver sbattuto la porta.

Per concludere, se coloro che potrebbero dare molto insieme si limiteranno a compiere una seppur brillante battaglia personale non approderemo ad alcun porto. E a vincere saranno i soliti noti, con annesse clientele, che avremmo voluto (e dovuto) mandare a casa.

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