Regole ferree a Villagrazia - Live Sicilia

Regole ferree a Villagrazia

Il riferimento era l'anziano capomafia Mariano Marchese.

PALERMO – Si parte da Mariano Marchese e si prosegue con un lungo elenco di nomi. A Villagrazia il vecchio padrino era il signore incontrastato. I suoi bracci operativi erano Antonino Pipitone, anche lui vecchio affiliato, e Vincenzo Adelfio, incensurato ma con un cognome pesante in Cosa nostra.

Sotto di loro altri personaggi tra cui alcuni nuovi alle cronache giudiziarie: Antonino Adelfio, Filippo Adelfio, Benedetto Capizzi (storico boss detenuto all’ergastolo), Antonino Capizzi (già condannato per mafia), Pietro Capizzi, Salvatore Maria Capizzi, Salvatore Di Blasi, Pietro Di Blasi, Fabrizio Gambino, Gregorio Ribaudo e Giovanni Tusa.

Le regole erano ferree. Vietato rivelare agi estranei l’appartenenza di un affiliato alla famiglia mafiosa. La mancanza di riservatezza mandava su tutte le furie Marchese. Ecco un dialogo che lo testimonia: “Vossia è lo zio Mariano?…; “Sì con chi ho il piacere di parlare…”; “Ci manda lo zio Gregorio abbiamo il mandamento nelle mani”; “Fermati là, non lo voglio sapere”.

Obbligo di prendersi cura delle famiglie dei carcerati “perché c’è qualche carceratieddu – diceva Marchese – ed è giusto che uno ci deve pensare… dico non ci dobbiamo pensare spesso… ma dico che ci si deve pensare…”. Divieto per gli affiliati di avere parentele con gli sbirri. Erano sorti malumori infatti nel caso di Salvatore Terrasi che era sì cognato di Mimmo Raccuglia, capomafia di Altofonte, ma pure sottufficiale dell’Esercito. Marchese raccontava a Vincenzo Adelfio un episodio degli anni Settanta quando “là nel portone gli abbiamo fatto la croce… ha fatto a sua figlia fidanzata con… un magistrato…”. Ecco la colpa dell’uomo d’onore di allora. E poi, secondo il capo, bisognava sacrificare la propria vita a Cosa nostra. E Adelfio si vantava che “lasciavo la qualsiasi cosa… tutto… pure a mia moglie al momento che partoriva lasciavo io”.

 


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