Le mani della mafia sulle sale bingo - Live Sicilia

Le mani della mafia sulle sale bingo

Antonio e Vincenzo Adelfio

Nuovi assetti societari, stessi boss al comando. Una sala bingo a Misilmeri, un'altra in via Messina Marine a Palermo erano riconducibili alla famiglia mafiosa degli Adelfio. E l'amministratore unico della società era un commercialista.

PALERMO, Operazione Brasca
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2 min di lettura

PALERMO – Era la società che gestiva i bingo della mafia. Due sale riconducibili alla famiglia mafiosa degli Adelfio, il cui amministratore unico risultava essere un commercialista e alle quali era interessata la famiglia dello storico boss detenuto, Ignazio Pullarà. Nonostante i numerosi sequestri che avevano già colpito il loro patrimonio, gli Adelfio continuavano a gestire economicamente due bingo, una in città ed una in provincia. La società titolare del “Montecarlo” a Misilmeri, era la Erregi Srl, costituita nel 2004 da Antonio Adelfio, Maria Luciana Lo Presti – le cui quote erano state sequestrate perché riconducibili al suocero Salvatore Adelfio, condannato nel processo Perseo – Riccardo Giacone ed Antonio Carletto.

Le indagini successive al sequestro, nell’ambito del maxi blitz che ha portato a sessantadue arresti, hanno permesso di accertare l’interesse agli affari degli Adelfio da parte di Pullarà, i quali interessi venivano ormai curati dai figli. Nel corso di un colloquio in carcere, Santi Pullarà spiegava al padre che i proprietari della società pur cedendo la licenza, avevano messo in atto diversi espedienti per continuare l’attività senza alcuno ostacolo: “Si sono venduti la licenza e hanno fatto un po’ di impirugghi...”. A rilevare parte della “Erregi”, infatti, era stata la “Bingo.It”, a sua volta controllata dalla “Bingo & Games”, amministrata dal commercialista Fabrizio Di Costanzo. Nuovi assetti societari soltanto apparenti, che in realtà non avevano impedito agli Adelfio di fare a meno del business delle sale bingo.

La nuova organizzazione a cui faceva capo la sala di via Messina Marine 449 – come accertato dagli inquirenti – era la stessa che in precedenza gestiva quella di Misilmeri: “Quando loro si sono portati quella di Misilmeri….hanno fatto il cambio… hanno chiesto il cambio… e se la sono portati qua!..”, spiegava Pullarà. Ulteriori conferme degli affari dei boss di Villagrazia sono arrivate agli investigatori nel gennaio 2015, quando le microspie hanno captato una conversazione fondamentale tra Antonio Adelfio e il socio Antonio Carletto: i due parlavano in prima persona come veri e propri responsabili del futuro dell’attività e discutono in merito ad un contenzioso con una banca: in caso di rigetto della loro opposizione, avrebbe acquisito la titolarità di un immobile.

“Se non va in porto questa opposizione… la banca entra… gli dobbiamo dare le chiavi dei locali di là sotto”. I due ragionavano quindi sulla possibilità di vendere il bene: “Si dovrebbe vendere questo capannone”, in quanto l’istituto di credito preferiva incassare denaro “la banca vorrebbe un po’ di soldi subito…” anche se la cifra richiesta, novecentomila euro – sembrava molto più alta di quella a disposizione dei due soci

Adelfio:Dove li abbiamo questi novecentomila euro?”
Carletto: “Dal Bingo! io mi sono fatto un poco di conti cosi… mentali…secondo me è sui cinquecentomila euro di utili all’anno”.
In realtà si trattava di un fatturato annuo stimato in quasi due milioni di euro, finito sotto sequestro insieme a quote, rapporti finanziari e all’intero complesso aziendale.
 


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