"Evidenti falsità" di Ciancimino jr | Condannato a risarcire uno 007 - Live Sicilia

“Evidenti falsità” di Ciancimino jr | Condannato a risarcire uno 007

Massimo Ciancimino

Il figlio di don Vito disse di essere stato minacciato da Rosario Piraino. Deve pagare 50 mila euro.

PALERMO – Il mondo che dalla mente di Ciancimino jr è passato nei verbali della magistratura costa al figlio di don Vito una condanna a sborsare 50 mila euro all’agente dei Servizi segreti Rosario Piraino. Ciancimino disse di essere stato minacciato da Piraino. Lo indicò come il braccio destro del fantomatico signor Franco, l’uomo dei misteri citato decine di volte come l’anima nera della stagione della Trattativa Stato-mafia. Nessun riscontro è stato trovato alle accuse bollate per questo come “false e calunniose”.

Il presidente della prima sezione civile del Tribunale, Roberto Ruvolo, accogliendo la richiesta degli avvocati Salvatore Ferrara e Giovanni Gruttad’Auria, spiega nelle motivazione che i fatti calunniosi di cui Ciancimino jr si è reso responsabili sono “talmente evidenti e inconfutabili da comportare anche la sussistenza dell’elemento soggettivo della consapevolezza dell’innocenza dell’accusato”. Come dire, il figlio di don Vito sapeva bene che stava puntando il dito contro una persona innocente. Sapeva bene che lo stava accusando ingiustamente davanti a investigatori e magistrati, andando a ingrossare il fascicolo delle sue dichiarazioni.

Non ebbe esitazione a riconoscere in fotografia Pirano come l’uomo che era andato a minacciarlo nella sua casa di Bologna. Tutto ciò, scrive il giudice, ha comportato “la lesione della persona umana”, i cui diritti hanno “un fondamento costituzionale”.

La vicenda è al stessa che è costata a Ciancimino jr un processo penale per calunnia ancora in corso a Bologna. “Mere illazioni”, così i magistrati bolognesi bollarono le denunce di Ciancimino e archiviarono l’inchiesta a carico di Piraino che, tramite i suoi legali – gli avvocati Nino Caleca e Marcello Montalbano – decise di querelare il figlio di don Vito Ciancimino.

Il 5 maggio 2009 quando Ciancimino jr raccontò ai magistrati di Palermo di avere ricevuto una lettera minatoria nella sua abitazione di Bologna. Conteneva tre fotografie con la sua immagine, cinque proiettili e l’avvertimento che con le sue dichiarazioni si era messo contro tutti, persino contro la magistratura. Qualche mese dopo, Ciancimino aggiunse che Pirano era andato a minacciarlo a casa. Lo aveva invitato a tenere la bocca chiusa, a smettere di rendere dichiarazioni ai pm palermitani (Ciancimino riveste il doppio ruolo di imputato e testimone chiave nel processo sulla trattativa Stato-mafia) perché si era infilato in un “vicolo cieco”.

Ciancimino jr non sapeva, però, che i poliziotti avevano piazzato una telecamera davanti alla sua abitazione dove non si era fatto vivo alcun soggetto vestito con la giacca coloniale di cui aveva parlato il figlio di don Vito. Così come non corrispondeva la descrizione fisica: Piraino è più alto di venti centimetri rispetto al fantomatico mninacciatore. I magistrati analizzarono i tabulati del cellulare di Piraino che, tra il luglio 2009 e il luglio 2011, non aveva agganciato la cella di Bologna e provincia. Ed ancora dall’estratto conto della carta di credito di Piraino venne fiori che il 3 luglio, giorno delle minacce, Piraino aveva fatto acquisti in un negozio di Palermo. Ed ancora, la Presidenza del Consiglio dei ministro mise nero su bianco che Piraino in quei giorni aveva prestato servizio nel capoluogo siciliano. E così i pm conclusero che “qualora il fatto del 3 luglio 2009 si sia effettivamente verificato, non fu certamente Piraino a presentarsi presso l’abitazione bolognese di Massimo Ciancimino”.


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