Come dire 'minchia' in Malesia? |La brillante risposta di Sanfilippo - Live Sicilia

Come dire ‘minchia’ in Malesia? |La brillante risposta di Sanfilippo

Gualtiero Sanfilippo

“Chissà come dicono minchia in Malesia” è il romanzo d'esordio dello scrittore palermitano.

la recensione
di
2 min di lettura

PALERMO – Abbandonare le proprie certezze, per costruirne altre. Prima che queste si tramutino in ereditari insegnamenti per le prossime che verranno. Senza fermarsi. Mai. Perché l’unica certezza di chi rimane fermo è la certezza di perdere quanto si riteneva immutabile. Immodificabile. E può capitare che per rendersene conto sia necessario percorrere dodicimila chilometri. E che l’ultimo bacio, prima di partire, dato a una compagna che improvvisamente decide di uscire dalla tua vita, si tramuti nel primo di un’altra che ti attende al ritorno. Nel frattempo, bisogna continuare a camminare per rimanere in piedi: da solo. Anche perché, citando il Petrarca, la vita fugge e non si arresta un’ora.

Il tema del viaggio pervade ogni singola pagina delle 225 che compongono “Chissà come dicono minchia in Malesia”, il romanzo d’esordio dello scrittore e giornalista Gualtiero Sanfilippo edito da Il Palindromo. Un flusso di coscienza che racconta dell’itinerario, emotivo e spirituale ancor prima che fisico, di un giovane siciliano che nel Paese asiatico prende parte a un progetto di un’organizzazione umanitaria che opera nell’ambito della prevenzione dell’HIV. Una scoperta continua, mutando il senso delle proprie convinzioni sino a sentirsi a casa in quello che all’inizio appariva un luogo ben lontano da certe abitudini tipicamente europee. E infine quasi impossibile da abbandonare.

Un padre che incoraggia il figlio a intraprendere un’avventura formativa, i compagni di viaggio che cedono il passo alle difficoltà prima di lasciare, gli incontri fortuiti, le liti e i momenti di sincera condivisione con l’amico-rivale Manu, animali esotici mai visti prima, il dolore, la malattia di chi non è certo del proprio domani, il sesso, il caos, il silenzio, le paure: tutto è Malesia. Una terra che è capace di lasciare il segno, in maniera indelebile, considerata dal protagonista “uno schiaffo in pieno volto senza affetto e adesso, ancora oggi che ne scrivo, sento di non poterne fare a meno”. Un rapporto di dipendenza tanto irrazionale quanto logico, per come si sviluppa la trama. Prendendo a prestito una locuzione latina, patria est ubicumque est bene (la patria è dove si sta bene).

Un cambiamento radicale rispetto alle titubanze iniziali, quando le precarie condizioni igieniche e le difficoltà di comunicare in inglese fluente apparivano ostacoli insormontabili. La svolta è dettata da un avvicendamento materiale, tra valigie da diva europea (ribattezzate Paris Hilton) e uno zaino da backpaker. Si abbassano le difese e lo spirito d’avventura ha la meglio, rendendo entusiasmante l’incalzante percorso che non scalfisce l’identità del protagonista, semmai la rafforza. Passo dopo passo. Metro dopo metro. Giorno dopo giorno. Sino alla fine. Che non fa rima con approdo, ma con viaggio. Questo è il momento di andare. Così come il prossimo.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI