Lo Bello da eroe a indagato |Confindustria, altro mito caduto - Live Sicilia

Lo Bello da eroe a indagato |Confindustria, altro mito caduto

Il leader degli industriali si è detto pronto a chiarire tutto ai pm. Solo pochi giorni fa il Corriere rievocava la sua svolta.

L'indagine d Potenza
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PALERMO – Il suo nome riportava a una sorta di epoca d’oro della riscossa legalitaria confindustriale. Quella celebrata in lungo e in largo in tutta Italia, ai tempi della presidenza Montezemolo, che lo volle giovanissimo a capo degli industriali siciliani. Ma i mesi del lungo calvario dei simboli antimafia non hanno risparmiato un dolore nemmeno a Ivan Lo Bello.

Dapprima, il nome del vicepresidente nazionale di Confindustria era solo stato citato nell’inchiesta di Potenza che ha portato alle dimissioni del ministro Federica Guidi. Sabato si è appreso che Lo Bello è anche lui indagato. L’ipotesi di reato ipotizzata dai magistrati potentini (e ovviamente tutta da dimostrare) è quella dell’associazione a delinquere, che lo vedrebbe come “partecipante”, insieme ad altri tra cui il presunto “ideatore”, cioè il suo ex socio Gianluca Gemelli, l’imprenditore compagno della Guidi personaggio centrale di questa branca dell’inchiesta lucana che si concentra parecchio sulla Sicilia e in particolare su Augusta.

E pensare che solo una decina di giorni fa sul Corriere della sera in un robusto articolo sull’antimafia legalitaria usata come paravento per il malaffare, una firma di peso come l’ex direttore Paolo Mieli auspicava tra l’altro che il presidente uscente di Confindustria Giorgio Squinzi spingesse Antonello Montante (che replicò), sotto indagine da quasi due anni a Caltanissetta per concorso esterno in mafia, a farsi da parte, lasciando “al presidente che verrà dopo di lui una Confindustria simile a quella di dieci anni fa quando Ivan Lo Bello, proprio in Sicilia, avviò una campagna di pulizia che ebbe un’eco di approvazione in tutto il Paese”. Solo pochi giorni dopo, per una sfortunata coincidenza di tempi, lo stesso Lo Bello – protagonista della golden age nostalgicamente vocata dal Corriere – finiva suo malgrado nelle cronache giudiziarie.

“Ho sempre avuto piena fiducia nell’operato dei magistrati. Chiederò alla Procura di Potenza di poter essere sentito quanto prima per chiarire ogni cosa”, ha commentato sabato sera Lo Bello, che solo qualche giorno prima, rompendo il suo tradizionale riserbo su questo genere di argomenti, in un’intervista a Repubblica si era detto “molto infastidito per essere stato tirato dentro una storia di cui sono ignaro”, prendendo le distanze da Gemelli. Secondo gli investigatori, il presidente di Unioncamere avrebbe “perorato” presso il governo nazionale – e nella fattispecie il ministro Graziano Delrio, che nega – la nomina (poi di fatto avvenuta) di Alberto Cozzo a commissario straordinario del porto di Augusta. Cozzo stesso oggi conferma la “sponsorizzazione” di Lo Bello in un’intervista (“esercitò una normale prerogativa che gli derivava dal suo ruolo di presidente della Camera di commercio di Siracusa”, dice). Una nomina che, secondo gli investigatori, avrebbe consentito al gruppo di interessi ribattezzato “il quartierino” di “ottenere una concessione demaniale relativa al pontile consortile e annessi serbatoi di stoccaggio del petrolio esistenti nel porto”. Secondo altre notizie riportate oggi dalla stampa nazionale, il gruppo vicino a Gemelli si sarebbe adoperato anche per favorire la nomina di Lo Bello alla presidenza di Unioncamere.

Lo Bello ora chiede di essere ascoltato dai magistrati per fornire ogni spiegazione a sua difesa in una vicenda giudiziaria che a dispense quotidiane viene svelata dai quotidiani nazionali e che dopo aver preso le mosse dal presunto disastro ambientale si va progressivamente trasformando in un passare ai raggi ics apparenti attività di (ordinaria?) lobby, i cui eventuali profili di illiceità dovranno essere dimostrati dagli inquirenti.

Intanto, anche all’imprenditore siracusano tocca ora sperimentare la spiacevole posizione di indagato, lui che con Montante, Marco Venturi e altri fu il promotore di quella svolta “legalitaria” di Confindustria (codice etico contro i collusi e in sostegno di chi denunciava il racket) che una decina d’anni fa raccolse grandi consensi e che consolidò l’ascesa della lobby degli industriali (in precedenza per un lungo periodo piuttosto marginale) nei Palazzi siciliani. Dai quali Lo Bello, che è vicepresidente nazionale di Confindustria e presidente nazionale di Unioncamere, ripete da tempo di aver preso le distanze. Come anche – seppur senza mai dichiararlo ufficialmente – dall’ex “gemello” Montante, che Lo Bello difese quando divenne di pubblico dominio la notizia dell’indagine per mafia a carico dell’imprenditore nisseno proprio in quei giorni nominato ai vertici della strategica Agenzia per i beni confiscati. Un paio di uscite pubbliche sul tema a difesa del collega, poi un lungo silenzio, sintomo di gelo sostenevano i bene informati. Che sarebbe sfociato in uno scontro nella guerra per i rinnovi e gli accorpamenti delle camere di commercio siciliane, guerra combattuta anche a colpi di esposti in procura e finita al centro di un’interrogazione parlamentare dei Cinque Stelle.

Elegante, colto, infaticabile lettore, Ivanhoe (per tutti Ivan) Lo Bello s’è districato fin qui con proverbiale prudenza, scansando insidie e trappole. “Influente e mai appariscente, un talento innato per la giusta distanza”, scriveva di lui ieri Repubblica. Estimatore del renzismo, inflessibile nel declinare gli inviti della politica (più volte si è parlato di lui come di un papabile per Palazzo d’Orleans), con lui alla presidenza Confindustria Sicilia mise piede nella giunta regionale: l’assessore era Marco Venturi, il governatore Raffaele Lombardo, che successivamente con lo stesso Lo Bello si scontrò aspramente quando il leader confindustriale evocò lo spettro del default per la Regione. Sembra passato un secolo da allora e dalle battaglie contro il racket che attirarono i riflettori nazionali sull’associazione degli imprenditori siciliani guidata dall’imprenditore e banchiere siracusano. A quei tempi seguirono poi quelli dell’irrobustirsi dell’attività di lobby con ottime e robuste entrature romane. Se in quel genere d’attività s’annidassero comportamenti illeciti spetterà agli inquirenti appurarlo. Difficile è però immaginare che in generale gli scenari del potere economico-politico siciliano non subiranno dei sensibili assestamenti dopo i fatti degli ultimi mesi.


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