Quando i magistrati | erano simpatici - Live Sicilia

Quando i magistrati | erano simpatici

La Giustizia è l'acqua che disseta un popolo e che ne idrata la vita.

PALERMO – Ci fu un tempo in cui i magistrati erano simpatici alla gente. Era il tempo in cui venivano massacrati. Morivano ammazzati per strada e – cadendo sotto i colpi dei loro assassini – lasciavano la testimonianza della loro umanità tradita.

Non alludo alla platealità delle stragi contro Falcone e Borsellino, che pure scorticarono l’intera coscienza del Paese. Vedo questo nella foto del corpo esanime del giudice Amato, assassinato, a soli 42 anni, dai terroristi dei Nar il giorno 23 giugno 1980. Lo scorgo nella suola della sua scarpa bucata, così impietosamente ritratta dal fotografo prima che il cadavere fosse nascosto agli sguardi dei passanti.

In quella giustizia disperata e impoverita, la gente si riconosceva. Forse confondendo l’opera di carità cristiana con quella, più laica, dell’applicazione della legge. Vi chiederete il perché di questa dolorosa prolusione. Ebbene, il recente riferimento ai “politici che rubano” – fatto dal Presidente dell’Anm – ha creato numerose reazioni.

Se siamo precipitati nella cleptocrazia – si dice – la colpa sarà pure di chi applica le leggi. Tanta parte del Paese si chiede se alcuni magistrati, con le loro disinvolte e non sempre coerenti condotte, non siano attori responsabili della deriva.

Proviamo a rispondere all’obiezione con queste poche parole. La Giustizia è l’acqua che disseta un popolo e che ne idrata la vita. Senza quell’acqua non vi è possibilità di sopravvivenza per una democrazia. Ogni giorno, migliaia di magistrati fanno il loro lavoro con dedizione e scrupolo per cercare di porre ristoro alla sete perenne di questo Paese.

Follie di ogni tipo impediscono o ritardano la loro azione e – quando fortunosamente si perviene ad un risultato – un’altra follia lo vanifica. Volete un esempio? Eccolo. Vi sembra normale un Paese in cui un uomo, condannato a sette ergastoli, può – già dopo venti anni – ritornare in semilibertà? È l’effetto della legge sull’ordinamento penitenziario (art.50 legge 354/1975).

Pensate alle vittime dei delitti feroci che ogni ergastolo ha punito… Con l’evidenza delle cose, è il contesto sociale che promuove e assicura la sua “imperfezione” perché utile alla sua stessa sopravvivenza. Nel caso del terrorismo fu la necessità della pacificazione, ma pensate questa politica di “sano realismo” applicata ad altri fenomeni criminali.

Ecco, allora, l’epilogo: in una società sempre più violenta, corrotta e cleptocrate, regole fragili e contraddittorie sono affidate ai magistrati. È loro compito applicare quelle regole. Null’altro.

Forse alcuni hanno sbagliato, sporcando l’acqua trasparente della Giustizia, ma non è certo per i loro errori che – oggi – nessuno più voglia dissetarsi a quella fonte.

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