Mille e 200 euro per un aborto | Il 'materiale organico' fra i rifiuti - Live Sicilia

Mille e 200 euro per un aborto | Il ‘materiale organico’ fra i rifiuti

Il tribunale di Messina

L'inchiesta sui due medici parte da un incidente stradale. I pm: "Allarme sociale e inquietudine".

MESSINA – Eseguiti gli aborti clandestini gettavano tutto nella spazzatura: “materiale organico”, scarti di medicinali, fiale e flaconi necessari per l’intervento. Giovanni Cocivera, primario della divisione di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale Papardo-Piemonte di Messina non immaginava di essere pedinato, intercettato e filmato dai poliziotti della Squadra mobile e della Polstrada che hanno controllato persino fra i rifiuti.

E così stamani è scattato il provvedimento di fermo per Cocivera e Giuseppe Luppino, primario del reparto di Anestesia e rianimazione dello stesso ospedale messinese. Secondo il procuratore aggiunto Giovannella Scaminaci e il sostituto Marco Accolla, bisognava intervenire subito per evitare che gli indagati reiterassero il reato oppure, vista la loro disponibilità economica, decidessero di darsi alla fuga una volta che i sequestri avevano svelato l’esistenza dell’indagine.

Gli investigatori gli attribuiscono “doti criminali che suscitano allarme sociale ed inquietudine nonostante ricoprano ruoli sanitari apicali che richiedono spessore etico e professionale non comuni”. Gli vengono contestai i reati di concussione e peculato per avere sottratto farmaci in ospedale poi utilizzati nello studio privato di Cocivera, al civico 91 di via La Farina.

Gli investigatori avrebbero accertato un caso di aborto clandestino. Altre due donne, invece, non sarebbero state ancora identificate e altrettante, alla fine, avrebbero cambiato idea. Il meccanismo, secondo l’accusa, era semplice: i due medici avrebbero fatto credere alle pazienti che non c’erano posti disponibili in ospedale e che l’unica soluzione per bloccare la gravidanza entro il limite dei 90 giorni era farsi operare nello studio privato. Studio che non avrebbe avuto né l’autorizzazione né i requisiti igienico-sanitari necessari. Una colossale balla visto che per questo genere di interventi non esistono liste d’attesa. Le pazienti in caso di urgenza vengono dirottate in altre strutture sanitarie, sempre e comunque sotto la direzione del Papardo.

Tutto parte dalla denuncia di una donna rumena. Nel maggio del 2014 si era presentata due volte al pronto soccorso. La prima volta disse di essere rimasta vittima di un incidente stradale (ecco perché delle indagini si è occupata anche la Polstrada). Le diagnosticarono il più classico dei colpi di frusta. Dieci giorni dopo, tornò in ospedale. Stavolta con un’emorragia per un aborto in atto. Non fu difficile scoprire che aveva chiesto alla compagnia di assicurazione un risarcimento danni da 67 mila euro. Sosteneva, infatti, di avere perso il bimbo che portava in grembo a causa dell’incidente.

Da qui sono iniziate le intercettazioni e i pedinamenti. E si è arrivati fino ai due medici “ascoltati” mentre fissavano gli appuntamenti nello studio privato e pattuivano le cifre per le loro prestazioni: in due circostanze si è parlato di 1200 e 750 euro.


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