Altro che spericolata! | Voglio una vita lenta - Live Sicilia

Altro che spericolata! | Voglio una vita lenta

Serve più coraggio a restare in uno stato perenne di insoddisfazione, o a compiere il grande salto?

«Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba», cantava il mite Francesco d’Assisi, ricordando come la nostra casa comune sia la sorella con la quale condividiamo l’arco vitale, e la madre che ci accoglie e ci nutre. Un novello Francesco decodifica oggi la sofferenza del pianeta: ‘Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra’, scrive il Papa nella Enciclica Laudato si’ sulla Cura della casa comune, esortandoci a rivedere le modalità dissennate con le quali stiamo costruendo, o meglio, distruggendo, il futuro del pianeta.

Anime malate in corpi malati, viviamo in un’epoca di eccessi; e accade che, a fronte di devastazioni irresponsabili, si verifichino convinte conversioni a modi alternativi di gestire la propria esistenza, la cui scelta può apparire velleitaria se non addirittura utopistica. Formule sociali, oltre che economiche, come il social housing, la home schooling, il neo-nomadismo e gli ecovillaggi, che sono una rivisitazione attualizzata delle comuni degli anni Sessanta, si configurano come realtà già sperimentate, che coinvolgono un numero, ovviamente piccolissimo, di persone che perseguono come obiettivi riscoperta della natura e rapporti umani sinceri, lontano da logiche competitive e da percorsi omologati e prestabiliti, le quali, per usare un fortunato inglesismo, vogliono una vita ‘slow’.

Lasciato ogni comfort nella propria casa di Genova, un’avventurosa famigliola, composta da papà Lucio, mamma Anna e la piccola Gaia, nella primavera del 2014 ha intrapreso un progetto temporaneo: per sei mesi ha viaggiato in lungo e in largo per l’Europa pianificando itinerari e modalità di sopravvivenza, limitando al minimo indispensabile l’uso del denaro. Ma come è nata l’idea? Nel racconto del padre, un fatidico giorno Gaia ha disegnato un pollo con quattro zampe, perché l’unico che avesse mai visto ‘era quello nella vaschetta del supermercato, con le quattro coscette messe insieme. A quel punto abbiamo cominciato a chiederci se non fosse il caso di cambiare vita, e disimparare le cose che fanno parte della nostra routine, per provarne altre’. E così, per far conoscere a Gaia gli animali, e più in generale il mondo reale, è nato il progetto Unlearning – a guide for families who change the world.

A testimonianza della singolare esperienza della ‘famiglia che cambia il mondo’, o, almeno, ci prova, è stato realizzato un docu-film che costituisce l’inedito affresco di un’Italia incredibile, il manifesto dell’applicabilità dei dettami del movimento della ‘decrescita felice’, che da tempo va promuovendo, come stile di vita, la sobrietà, la sostenibilità ecologica, le relazioni autentiche, valorizzando cooperazione e altruismo per contrastare l’individualismo sfrenato e l’eccessiva spinta alla competizione che caratterizzano i nostri tempi, invitando a godere meglio il proprio tempo libero.

E, per tornare all’assunto comune ai due Franceschi, a riscrivere il proprio rapporto con la natura, affinché diventi armonia piuttosto che sfruttamento; in buona sostanza, a dare spazio all’essere piuttosto che all’avere, e quindi alla contemplazione di quante meraviglia siano a nostra disposizione, per conseguire una maggiore serenità. Un vero e proprio elogio della lentezza.

Il documentario ‘on the road’ girato da Lucio Basadonne è stato presentato a diversi festival: ai mesi di viaggi e scoperte, è seguito difatti un tour per mostrare il film, un modo per proseguire un’esperienza che ha richiesto, oltre che molto coraggio per attuare un cambiamento tanto radicale, anche notevoli capacità di organizzazione. Lucio ha pianificato tutto; prima di partire si occupava di spot e documentari, mentre Anna era un’insegnante; insieme a Gaia, oggi in prima elementare, sono partiti senza automobile, utilizzando il car pooling, una modalità di trasporto diffusa nei paesi del nord Europa e negli Stati Uniti, ma pochissimo in Italia, che consiste nella condivisione della macchina per ridurre costi e sprechi, ed è uno degli ambiti di intervento della cosiddetta mobilità sostenibile.

La famiglia genovese ha percorso 5000 km in compagnia di sconosciuti, vivendo ogni spostamento come un’opportunità di fare nuove conoscenze. I necessari prerequisiti erano una mente libera, e la voglia di mettersi in gioco anche facendo lavori di ogni genere, come vendere zucchero filato, montare tendoni da circo, zappare la terra, fare il formaggio, pulire le stalle, e spingersi fino a dormire nelle grotte o prendere il cibo dai cassonetti. Mediante il woofing, acronimo inglese di World Wide Opportunities on Organic Farms, in piena logica low cost, hanno avuto vitto e alloggio nelle fattorie in cambio di lavoro nei campi.

Ogni tappa ha permesso loro di confrontarsi con altri modelli di famiglia, di educazione e di alimentazione, spendendo quasi nulla grazie a baratto e condivisione. Dal racconto evocato dalla ‘gentile disobbedienza’ di questo nucleo famigliare che anelava a un’altra vita possibile, è emersa una rete di ecovillaggi come Avalon in provincia di Pistoia e Consolida a Zocca, anche vegani, come quello di Ciumara Ranni a Sortino; anche in Italia, vi sono comuni anarchiche e scuole libertarie all’aria aperta, fattorie sociali, minicirchi come quello autogestito della famiglia Brioni nel Nord-Est, famiglie che sperimentano il co-housing dividendo tutto, comunità Freegan che si sostentano recuperando cibo scaduto contro lo spreco, e famiglie ‘vagabonde per scelta’, collegate tra loro a livello globale dalla vagabondfamily.org.

Queste microrealtà, seppur poco visibili, sono in aumento, e rappresentano il diffuso segnale di un crescente malessere rispetto a quella che un fortunato slogan pubblicitario degli anni Sessanta, definiva, in tempi non sospetti, la frenesia della vita moderna.
Sembra dunque che, per una volta, la teoria si sia mutata in pratica. Ma quanti sarebbero pronti a lasciare tutto e provarci? Si ha un bel dire – ed è già una fortuna averlo – che il lavoro è avvilente, che l’ambiente in cui si vive è sempre più opprimente, che alla noia si è aggiunta la depressione. Il desiderio di fuga è bloccato dalla paura di sbagliare. Quella paura che fa preferire il volontario confinamento all’ignoto, il rimpianto al volo.

Serve più coraggio a restare in uno stato perenne di insoddisfazione, o a compiere il grande salto? A quella che sembra una domanda notturna di Gigi Marzullo, le possibili risposte sono di segno opposto, senza mediazioni. I pochi che il passo lo hanno compiuto, affermano che ne serve di più per restare là dove si è consapevoli di essere infelici, ma i molti che non lo hanno fatto, né lo faranno mai, pensano che, per lasciare tutto, più che coraggio ci voglia un’eccessiva audacia, e preferiscono coltivare un confortevole dubbio.

La vita è una sola, eppure l’ipotesi di un cambiamento spaventa tanto, mentre problemi reali, come perdere salute e gioia di vivere, e sprecare il bene più prezioso, il proprio tempo, del quale è ignoto quanto ci resti, non fanno altrettanta paura. Rassegnati e contenti, speriamo di non dover mai dire: dovevo farlo prima. Per benessere intendiamo quello materiale, il successo economico è preferibile agli affetti, il presenzialismo alla serenità. Un percorso di rinascita che rappresenti una sfida è lontano anni luce da un modo di vivere che identifica come ‘sfida’ il tentativo di guadagnare di più con ogni mezzo o la conquista del potere. Permanentemente in vetrina in questo spazio globale nel quale ci muoviamo, non scorgiamo tra le quinte oscuri burattinai che tutto registrano orientando sapientemente le nostre scelte; persino una modesta scala di valori deve riscuotere l’approvazione di un pubblico precostituito.

Un esercito di frustrati e incompresi incolpa del personale malessere sempre qualcun altro; ai massimi sistemi la famiglia, la scuola, lo Stato, la società, la politica; a livelli ordinari, il capo, la moglie, l’amante, o la solitudine, e non ammette che sia nel bene che nel male la prima responsabilità resta sua. Nessun obiettivo può essere conseguito senza la consapevolezza di noi stessi, del nostro passato e della condizione presente. ‘Il compito dell’uomo è diventare cosciente di ciò che preme dall’interno, dall’inconscio, invece di rimanerne inconsapevole o identificarsi con esso. In entrambi i casi viene meno al suo destino, che è quello di ‘creare coscienza’ scrive Carl Gustav Jung. E qualunque cambiamento, in qualsiasi settore dell’esistenza, come spiega la psicologa fondatrice del metodo ‘Tutta un’altra vita’, Lucia Giovannini, nel saggio ‘Mi merito il meglio’ (Sperling & Kupfer, 2010), deve scaturire da un mutato livello di consapevolezza, altrimenti rischia di essere effimero.

La felicità è un’arte che si può imparare. E fare la scelta di voler essere felici, il primo passo verso un cambiamento in positivo, implica l’inizio di un processo evolutivo della capacità di amare se stessi e gli altri, che è tensione conoscitiva, creatività, libertà, affettività. Mantenere alta questa tensione al bene nel quotidiano è difficile: è un impegno che richiede uno sforzo che sia, appunto, tanto consapevole da poter divenire pratica costante. Ogni uomo nasce con il talento per progredire su questa strada; non lasciamo che, come nella parabola evangelica, il servo infingardo che si cela dentro di noi lo occulti sotto terra.

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