"Qui non siamo in uno spogliatoio" | Miccoli convocato in Tribunale - Live Sicilia

“Qui non siamo in uno spogliatoio” | Miccoli convocato in Tribunale

Fabrizio Micocli in Tribunale

L'ex calciatore del Palermo si sarebbe rivolto al figlio di un boss per recuperare ventimila euro.

PALERMO – “Non ho dato nessun incarico a Lauricella”, taglia corto Fabrizio Miccoli. Su questo l’ex calciatore del Palermo “gioca” la sua “partita” giudiziaria. L’accusa è pesante: concorso in estorsione aggravata. Miccoli si sarebbe rivolto a Mauro Lauricella, figlio del capomafia Antonino, detto ‘Scintilluni’, affinché sfruttasse le sue “amicizie” per recuperare ventimila euro dal titolare di una discoteca.

“Lauricella si è interessato per amicizia”, spiega Miccoli, rispondendo alle domande del pubblico ministero Maurizio Bonaccorso che lo interroga nella doppia veste di testimone e imputato di reato connesso. La sua posizione era stata stralciata e di recente il Gip ha respinto la richiesta di archiviazione. Il prossimo 30 giugno Miccoli si dovrà presentare davanti al giudice. Nel frattempo accetta di rispondere nel dibattimento che vede imputati Lauricella e Gioacchino Alioto.

La sua deposizione è ricca di “non ricordo”. Il calciatore non è abituato al ruolo tanto che il presidente del Tribunale, Bruno Fasciana, gli spiega che non si trova nello spogliatoio di uno stadio, non è il capitano di una squadra di calcio, ma in un aula di giustizia e “qui non ha la facoltà di fare ciò che vuole”.

All’ex fantasista del Palermo si era rivolto Giorgio Gasparini, ex fisioterapista della società rosanero. Dei ventimila euro che voleva indietro ne recuperò solo duemila. “Graffagnini non si faceva trovare – aveva detto Gasparini – e allora chiesi aiuto agli amici che avevo conosciuto a Palermo”.

L’antefatto è del 2007, quando Gasparini acquista da Graffagnini (in società con un altro giocatore, Andrea Barzagli, oggi alla Juventus, che vendette le quote nel 2008 ndr) il 51% del capitale della società Papa Cult sas che gestiva la discoteca Paparazzi. L’accordo prevede il pagamento di 42 mila euro, di cui 20 mila subito versati a titolo di acconto (dieci mila a Graffagnini e altrettanti a Barzagli). Il saldo sarebbe stato pagato alla firma del contratto. Cosa mai avvenuta. Nel frattempo Gasparini dice di avere speso dei soldi (prima quantificati in 22 mila euro e poi in otto mila) e pretende che vengano detratti dal saldo. All’inizio del 2008 Gasparini si allontana da Palermo per tre mesi. Al suo rientro, invece di saldare il debito fa sapere a Graffagnini di volere annullare il contratto e lo invita a cercare nuovi acquirenti. Cosa che avviene. Solo che Graffagnini e Gasparini non trovano l’accordo sulle cifre da incassare. Della faccenda, a questo punto, sarebbero stati investiti Miccoli, Lauricella e Alioto. Le indagini su Mauro Lauricella partono dalla caccia al padre latitante. Gli investigatori sentono una sua conversazione con Miccoli, (il 22 giugno nel 2010) che incarica il figlio del boss di recuperare le somme. 

In alcune telefonate ed sms il calciatore si mostrava parecchio interessato alla vicenda e suggeriva a Lauricella: “Gli diamo diecimila euro a loro e due te li tieni tu”. Oggi Miccoli non ricorda quelle conversazioni, tanto che il pm gli muove una serie di contestazioni: “Non me lo ricordo, sarà stato così, mi sono tirato fuori dalla vicenda, a me non interessava… stiamo parlando di duemila euro, io ho rispetto per i soldi, ma io ne spendevo trentamila per le maglie da regalare”. In realtà, e il pm lo sottolinea più volte, a Miccoli non viene contestato di avere intascato soldi, ma di avere interessato l’amico Mauricella.

Tra luglio e ottobre del 2010 Lauricella tentò di recuperare le somme. Non riuscendoci, avrebbe chiamato in causa gli “amici di papà”, tanto che a uno degli appuntamenti partecipò anche Alioto. Ci fu addirittura una riunione in una trattoria alla Kalsa, e siamo nel 2011, per metter a posto le cose. E così in occasione della partita in trasferta contro il Milan, Miccoli avrebbe consegnato a Gasparini una busta con tre assegni per complessivi sette mila euro. Solo che gli assegni restano insoluti: “Li ho portati a Milano – spiega ora Miccoli – perché giocavo in trasferta, ma non ricordo chi me li ha dati”.

È rispondendo alle domande del legale di Lauricella, l’avvocato Giovanni Castronovo, che Miccoli ribadisce: “Non ho dato nessun incarico a Lauricella. Mi è stato detto che c’era questo problema della discoteca, lui li conosceva tutti (i gestori dei locali, ndr)… in sei anni di permanenza a Palermo sono andato in discoteca solo tre volte”. Niente di illecito. Solo, rapporti di amicizia con Lauricella. E il padre? Il calciatore sapeva che si trattava di un mafioso? “L’ho saputo dopo che ci siamo conosciuti al campo di Boccadifalco. Io con Mauro parlavo di uscite, ristoranti, c’era un’amicizia sincera. Nulla di più”.

Fuori dall’aula Miccoli non vuole parlare del processo. E neppure di calcio. Si limita a rispondere a una domanda sulla permanenza del palermo in serie A: “Sono contento per l’allenatore e per i tifosi”.


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