"Un'attesa lunga anche tre giorni" | Caos e paura al Buccheri La Ferla - Live Sicilia

“Un’attesa lunga anche tre giorni” | Caos e paura al Buccheri La Ferla

L'ospedale Buccheri La Ferla di Palermo

Un'altra puntata del viaggio nelle aree d'emergenza. VIDEO

Palermo - Inchiesta sul pronto soccorso
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3 min di lettura

PALERMO- Una porta aperta sul caos. Un avamposto nella confusione, nonostante l’eroismo umano e professionale di chi lotta per offrire tanto con poco. “Una trincea, siamo in una trincea”. Parole del primario del pronto soccorso del ‘Buccheri La Ferla’, Michele Zagra. Qui, una settimana fa, si è accesa una rissa per il turno dei codici. Il dottore Zagra non sembra impressionato: “Ce n’è una al giorno”. Nemmeno Aurelio Salemi, infermiere con ventidue anni di servizio, appare scosso: “Ci abbiamo fatto il callo. Ormai non me ne accorgo più, anche se mi capita di avere paura”.

Alla penultima puntata del nostro viaggio nelle aree d’emergenza cittadine, spiccano un po’ di dati e qualche certezza. I medici sono valenti, gli infermieri generosi e invecchiati nella mischia, tranne qualche caso d’eccezione in negativo, la politica non offre risposte all’assordante richiesta d’aiuto. Ovunque e sempre tutti ripetono, con preoccupante ritualità, la cadenza consumata dei problemi, a Villa Sofia, al Civico, al Policlinico, all’Ingrassia….

Nemmeno il primario Zagra si sottrae: “Temo per il personale nel saperlo così esposto, soprattutto quelli della prima accoglienza e del triage, da un lato c’è il sovraffollamento, dall’altro alcuni pazienti e parenti un po’ irascibili. Eppure, la cultura sta migliorando. Il punto non è l’afflusso, ma il deflusso. I reparti sono intasati, sul territorio non esistono servizi alternativi. Ecco perché le attese possono presentarsi lunghe”. Una ripetizione di concetti già sentita altrove, con i suoi casi eclatanti e tracciabili.

In una saletta dell’ospedale c’è un ragazzo che è lì da tre giorni, in attesa di una destinazione. Ha avuto delle fortissime coliche. Si chiama Onofrio Guerrera e racconta il suo transito difficile: “Posso parlare solo bene di chi mi ha aiutato con competenza e umanità, certo restare sospesi per tanto tempo non è piacevole”. Provvidenza Purpura, che assiste la mamma, conferma: “Sono stati scrupolosi e gentilissimi”. Lo spazio che ospita gli ‘osservati’, prima che defluiscano, sta scoppiando di volti, lamenti e respiratori.

Mi viene in mente un’analogia con la camera della morte dei tonni – spiega il dottore Rosario Favitta -, questa è la camera della salute, oppure, se vuole, l’imbuto ingorgato”. “Il lato positivo c’è – ironizza Michele Zagra -. A forza di aspettare, qualche malato guarisce”. Potrebbe essere il motto della sanità siciliana.

Il primario conteggia le forze in campo: “Abbiamo circa quindici medici, chi a trentotto e chi a ventiquattro ore. Adesso, sono impegnati in tre, più un ortopedico e un pediatra. Gli infermieri sono sei. Di notte, il numero cala”. Alla stanza del responsabile si accede dopo un rosario di porte e citofonate. Una precauzione in più? “Lavoriamo sulla strada – commenta l’interessato -. All’ingresso del mio ufficio sostano in tanti. Noi cerchiamo di interpretare il nostro impegno come una missione, non solo per il frangente della sanità, prestando orecchio ai bisogni sociali. Sosteniamo, per esempio, molti senzatetto. Se fossi l’assessore alla Salute, ricorderei che l’ospedale è essenzialmente pronto soccorso. Il sistema andrebbe ripensato, cercando di diminuire il disagio per i malati e i familiari”.

Il dottore Favitta incalza: “La gente che ha bisogno viene soltanto qui. Sa che sarà accolta, che sosterrà gli esami, che avrà professionisti competenti al suo servizio, quando va male, con una modica spesa. Il pronto soccorso è l’unica e ultima risorsa”. Il direttore sanitario, Gianpiero Seroni aggiunge: “Dovremmo ambire all’unità e offrire, in ogni struttura, lo stesso standard, ecco uno dei temi principali”.

Ed è la litania delle criticità consunte dalla loro stessa narrazione. Le sale traboccano. Il corridoio pure, in un va e vieni di codici multicolori. Si tira avanti su base volontaria, sull’abnegazione del singolo, nella latitanza del resto, col timore di chi affronta il rischio quotidiano, perché gli spintoni, le urla e gli insulti compongono un corollario certo. “In trincea, siamo in trincea”. E’ la sanità, bellezza. Per grazia ricevuta, qualcuno guarisce, intanto che aspetta. E qualcun altro muore. Ovviamente, per disgrazia. (5- continua)


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