Graziano-Galatolo-Madonia |Un intreccio di mafia e affari - Live Sicilia

Graziano-Galatolo-Madonia |Un intreccio di mafia e affari

Vito Galatolo e Vincenzo Graziano

Nonostante indagini, processi e sequestri, le tre famiglie sono rimaste legate dal denaro.

PALERMO – All’inizio erano affari edilizi. Poi, con la crisi del mattone, hanno dovuto diversificare. Il business divenne quello delle macchinette mangiasoldi. Il punto è che – nonostante indagini, processi e sequestri – le famiglie Galatolo, Graziano e Madonia sono rimaste indissolubilmente legate grazie al denaro. Il pentimento di un pezzo grosso del clan Galatolo, Vito, ha mandato in frantumi una catena che parte da lontano e arriva fino ai nostri giorni.

Nel 2012 Vincenzo Graziano era detenuto al carcere Pagliarelli di Palermo. Aveva un chiodo fisso: assicurare lo stipendio ai fratelli Madonia. E al figlio Camillo chiedeva di andare per “i medicinali” dal “farmacista”. Frasi accompagnate dal gesto di chi, muovendo pollice e indice, fa un segno per indicare il denaro. Il farmacista è Aldo Madonia, fratello dei boss Salvatore, Antonino e Giuseppe, a cui Vincenzo e Domenico Graziano, pure loro fratelli, dovevano garantire mille euro al mese per le sole spese carcerarie.

Più sostanziosi gli stipendi che incassava Vito Galatolo. È lui stesso a parlare delle cifre: “La famiglia Graziano ha sempre mantenuto la mia famiglia, mensilmente quando chiedevo a chiunque di loro mi davano circa dai 5.000 ai 7.500 al mese; qualunque fosse la richiesta, loro non mi facevano problemi”. E non potevano fare altrimenti, racconta sempre Galatolo, “fino agli anni Novanta mio padre gestiva tutto ed era socio (con mio zio Pino) dei Graziano al 50% e l’altro 50% veniva suddiviso fra i Graziano e i Madonia. I Graziano perciò non hanno mai pagato il pizzo nei loro cantieri perché mio padre era socio loro”.

È l’inizio dell’intreccio degli affari. Alcuni membri della famiglia Graziano, negli anni Novanta, finirono in carcere, salvo poi essere stati scagionati. Per Vincenzo le cose sono andate in maniera diversa. Già condannato per associazione mafiosa nel 1996 a 8 anni, Vincenzo fu poi arrestato nel 2008 e condannato l’anno dopo a cinque anni. In carcere c’è tornato nel 2014 scorso durante il blitz Apocalisse. Poi di nuovo libero, un mese dopo, su decisione del Tribunale del Riesame, per mancanza di indizi. Ed infine ancora in cella e pure al 41 bis. Su di lui convergevano le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Sergio Flamia di Bagheria e Vito Galatolo. Il primo di lui ha detto che è stato il grande investitore dei soldi dei Madonia, il secondo ne ha ricostruito la scalata al potere nei minimi dettagli. E lo ha tirato in ballo nella vicenda del progetto di morte contro il pubblico ministero Antonino Di Matteo. Galatolo ha riferito che in un incontro del 2012 furono lui, Graziano, Alessandro D’Ambrogio (capomafia di Porta Nuova) e Girolamo Biondino (capo a San Lorenzo) a leggere la lettera di Matteo Messina Denaro. Da Castelvetrano arrivò l’ordine di organizzare l’attentato. I pm gli contestavano di essere tornato nel giro dopo avere finito di scontare la pena nel 2012. Niente più palazzi, ma il lucroso affare delle macchinette videopoker piazzate nei locali di mezza città d’intesa con Galatolo.

A Vincenzo Graziano, che aveva spostato i suoi affari in Friuli, era stato sequestrato un impero da 50 milioni di euro. Uno yacht di venti metri, una Ferrari, una Bmw X6, e soprattutto una serie di imprese edili: la Afg Costruzioni srl, la Costruzioni generali con sede a Palermo e la Ag Costruzioni srl di Tavagnacco, in provincia di Udine. Il quadro investigativo ricostruiva che sin dagli anni ’80 i fratelli Vincenzo, Angelo, Giovanni, Francesco, Ignazio e Domenico Graziano avevano fatto affari con i Madonia e i Galatolo. Il cognome Graziano finì anche tra le pieghe dei misteri della strage di via D’Amelio. Proprio in fondo alla strada dove furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti della scorta c’era un palazzo con un’ottima visuale sul portone di casa della madre del giudice. Il palazzo era dei Graziano e sul tetto c’era un cumulo di cicche di sigaretta come se qualcuno le avesse fumate in attesa di qualcosa.

I rapporti fra i Graziano e i Galatolo sono stati fotografati di recente dai finanzieri del Nucleo speciale di Polizia valutaria che hanno registrato una serie di incontri. Vito Galatolo e Vincenzo Graziano si sono visti pure al Palazzo di giustizia di Palermo, nel 2012, quando il primo scendeva da Mestre per assistere alle udienze del processo che lo vedeva imputato. E poi ancora in bar e ristoranti della città. Di cosa parlassero lo spiega ancora una volta Vito Galatolo: “Il resoconto dei guadagni di Cosa Nostra dalle slot machine mi è stato fatto una volta da Vincenzo Graziano, mandandomelo appositamente a Mestre tramite Camillo Graziano (nipote di Vincenzo ndr); comunque mi fidavo ciecamente di lui e anche se lui in quest’occasione mi ha voluto mettere a conoscenza dell’andamento degli affari, gli ho fatto riferire solo ‘dici a tuo zio che basta che vi campate i carcerati’ del mandamento e ‘altro non mi interessa’. Di tale resoconto (fattomi nel 2014, penso a marzo, perché riepilogava gennaio, febbraio e marzo, ossia i primi tre mesi dell’anno) ricordo che c’erano segnate entrate per circa 65.000 da siti, slot e pizzo per tre mesi. Dopo averlo letto, ho strappato il suddetto foglio, come si faceva sempre…”.

Era talmente forte il loro legame che Vito Galatolo sarebbe stato il padrino di affiliazione di Vincenzo Graziano. Un’affiliazione avvenuta in carcere e ricostruita non solo da Vito Galatolo, ma pure da Sergio Flamia, pentito del clan di Bagheria. Quest’ultimo ha messo a verbale che “è successo questo discorso che non siamo andati in saletta, siccome in quella saletta non fumatori eravamo in pochi che ci andavamo, tra cui io, un altro mio paesano e qualche altro conoscente, visto che avevano confidenza con me mi ha detto ‘senti, mi fai la cortesia, ce lo dici tu che non vengono nella saletta la prima ora che…’…dentro il carcere, tra il corridoio e la cella… siamo stati qualche settimana insieme in cella…”.

Flamia non sapeva chi fosse il nuovo uomo d’onore e non riusciva a collocare temporalmente l’episodio. I dubbi li ha spazzati via Galatolo, interrogato il 23 novembre scorso: “(Vincenzo Graziano, ndr) lo abbiamo affiliato in carcere al Pagliarelli, quarto piano destro, ‘Grecale’ io, capofamiglia dell’Acquasanta, Peppuccio Lo Bocchiaro, uomo d’onore della famiglia di Santa Maria di Gesù, e Francesco Guercio, uomo d’onore della stessa famiglia. Ciò è avvenuto a dicembre 2010 (forse il 27) nella saletta socialità; prima di andarci (ci sono due salette e noi andavamo a quella fumatori), abbiamo chiesto a qualche amico tra cui Sergio Flamia, di non far entrare persone nella detta saletta”. Non importa il luogo, quel che conta è la ritualità: “Vincenzo Graziano aveva la santina nelle mani, Peppuccio Lo Bocchiaro gli ha fatto la punciuta con l’ago, è uscito il sangue e gli ha bruciato la santina nelle mani, mentre ripeteva ad alta voce le regole di Cosa Nostra. Dopo la punciuta ci siamo dati la mano e io ho detto che Vincenzo Graziano da quando sarebbe uscito (settembre 2011, credo) sarebbe diventato sottocapo dell’Acquasanta e raccomandandogli di stare vicino a quelli di Resuttana…”.

Da quel giorno Vito Galatolo e Vincenzo Graziano aggiunsero un tassello ad un legame storico cominciato con gli affari. Lo sa bene pure Sergio Flamia che di Graziano sentiva tessere le lodi: “So per detto di Vito Galatolo che era uno di quelli che aveva tutti i beni, giostrava i soldi.. dei Madonia…Non mi ricordo come è successo una volta che io gli ho chiesto, ci rissi: ‘Ma chistu.. stu signor Enzo..?’, dice: ‘No…’, dice, ‘… è un amico…’, dice…, ‘…vicino, forse a Nino Madonia…’, qualcosa del genere, dice.. ‘… e chiddu dice che ha giostrato iddu cu so frati Franco…’, mi sembra che il fratello si chiama Franco, ci rissi… gestiva i soldi dei Madonia, tra cui credo che mi abbia detto che aveva intestato un Ferrari, che era… intestato a… lui… questo Graziano, ma di proprietà di Madonia… Perché, per un periodo di tempo, nella mia prima carcerazione, erano tutti e due fratelli in carcere nella stessa cella… Nel periodo del duemila, anno più, anno meno del duemila…”.

Affari, sempre affari. Che Galatolo descrive così: “Negli anni ‘90 mio padre e i Madonia comprarono i terreni per far edificare ai Graziano, a questi ultimi formalmente intestati…”. Erano i tempi delle speculazioni edilizie.

L’ultimo dei Graziano a finire nei guai è stato Francesco, figlio di Vincenzo. Le indagini sono le stesse che hanno fatto venire a galla il ruolo dell’avvocato Marcello Marcatajo, recentemente scomparso per motivi di salute. Un insospettabile al servizio dei clan per occultare il patrimonio illecito. “Io almeno dal 2003 faccio atti di compra e vendita con Francesco di piccoli immobili di un palazzo… c’è tutto un rapporto….”, ammetteva Marcatajo senza immaginare di essere intercettato. L’ultimo affare sarebbe stato l’acquisto di una serie di box in via Marcello Corradini. Il pentito Vito Galatolo ha raccontato che parte del ricavato, 250 mila euro, sarebbero stati utilizzati anni dopo per comprare il tritolo che doveva servire per uccidere il pubblico ministero Nino Di Matteo. I box, in precedenza. erano stati acquistati da Marcatajo, nel frattempo divenuto titolare della Sicinvest, utilizzando i soldi dell’impresa Kemonia di cui lo stesso civilista era il curatore fallimentare.

 


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