Falcone, l'ora del ricordo | Ma Palermo non si fa vedere - Live Sicilia

Falcone, l’ora del ricordo | Ma Palermo non si fa vedere

foto di Rossella Puccio

Cronaca di una giornata particolare. FOTO.

Palermo, 23 maggio
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3 min di lettura

PALERMO- Lassù i patrizi, con le scorte, in forma di impenetrabile muraglia che li divide dal resto del mondo. Quaggiù i plebei, che sventolano giornali e fogli per cercare un po’ di frescura, in un giorno di caldo afoso. Così Palermo ricorda Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo.

Lassù, nell’aula bunker, la parata di lorsignori e autorità, le dichiarazioni stantie di ogni anniversario, l’ovvietà della lacrima essiccata. Quaggiù un piccolo popolo che ancora crede nei suoi sogni, forse troppo ingenui: ma altro non c’è rimasto da prendere, sotto il sole di una città rassegnata.

Vincono quelli di lassù, per prestanza e potere. Vince la cittadella dei lampeggianti e dei muri rialzati che stende ovunque l’ombra muscolare della sua presenza: piazza Unità d’Itala svuotata di macchine per un banchetto di celebrità nelle vicinanze, così si giustifica il deserto nell’ora di punta; via Notarbartolo strozzata per consentire il corteo, uomini armati ovunque e intorno – ad ala delle signorie vostre – il vuoto. Palermo non c’è. Prende il gelato a Mondello o in via principe di Belmonte. Corre dietro ai suoi affari; non riconosce all’esibizione degli ottimati dell’antimafia altro che una cocente e delusa indifferenza.

Gli unici soldati semplici della speranza in sosta all’albero Falcone sono i reduci di battaglie perdute che ancora vegliano l’estate del loro scontento. Bastano i nomi propri per descrivere i guerrieri invecchiati che furono giovani nel Novantadue. “Mi pare tutta un’organizzazione che non riguarda i palermitani – dice Antonio, della destra che venera Paolo Borsellino, osservando le scolaresche degli studenti con i cappellini di mille colori -. Non colgo né passione, né spontaneità”. Maurizio era con padre Paolo Turturro nei giorni delle rivolte del Borgo Vecchio: “Sono un po’ deluso”. “Io vengo perché ci credo, ma non siamo rimasti in molti”, spiega Alberto.

C’è qualche politico che ha scavalcato le siepi di concertina della trincea per mischiarsi al resto. “Non mi pare uno spettacolo diverso dagli altri anni, sento un’aria di disfatta”, chiosa Fabrizio Ferrandelli. Solo il senatore Franco Campanella si definisce “soddisfatto”.

No, Palermo non c’è. Se sta con Giovanni Falcone, ha scelto di commemorarlo individualmente, mostrando sfiducia per le parate ufficiali. Le finestre alte di via Notarbartolo, nei pressi del famoso albero, sotto casa del magistrato ucciso, sono soprattutto sbarrate. Si nota un lenzuolo bianco, steso a sventolare, retaggio di un antica passione. E antichi sono i ricordi, vecchi ormai di ventiquattro anni, non soltanto degli involontari protagonisti di un massacro.

Chi ricorda Oronzo Mastrolia, quieto ragioniere pugliese che il 23 maggio viaggiava con sua moglie nella corsia opposta, in autostrada? Venne travolto dall’esplosione e dall’asfalto incendiato. Affrontò un calvario di ricoveri e operazioni; fece appena in tempo a ricostruire la sua vita, in un appartamento con i gerani alle finestre, ma aveva paura quando sentiva le sirene suonare. Chi ricorda Gaspare Cervello, agente dell’ultima Croma? Dopo il boato uscì dall’abitacolo con un braccio rotto e la pistola in pugno. Anche lui non si è mai liberato dal terrore. Foschie di memorie spezzate. E come appare lontano un bigliettino consunto in un cassetto del palazzo di giustizia, vergato con grafia femminile: “Giovanni, sei tutta la mia vita”. Firmato: Francesca.

Eppure questo lutto polveroso somiglia a una strana festa di paese. Un complessino suona sul palco montato. I patrizi e i plebei si riunificano in una illusoria sintesi: non saranno mai la stessa antimafia. Palermo fugge via dal suo sangue. Le lancette del dolore segnano le 17.57. Manca appena un minuto all’ora della strage.


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