La fiction al posto della verità | E' l'antimafia, bellezza - Live Sicilia

La fiction al posto della verità | E’ l’antimafia, bellezza

"Era d'estate"

Ma sono poi diversi i filmetti dalla realtà? Ecco l'elenco aggiornato di un'ipocrisia.

Bella la nuova sobrietà dell’antimafia: al posto della retorica, una congrega di talebani scalzi che già promette di giustiziare ogni parola in più.

Fantastica l’antimafia riverniciata e penitente, che irroga sentenze di condanna per gli altri, i cosiddetti ‘antimafiosi di facciata’, che appartengono immancabilmente a una parrocchia nemica.

Squisita l’antimafia al gusto di originalità, riscoperta nell’ultimo anniversario delle stragi, dopo una serie di processi color trattativa finiti malissimo, cioè secondo logica, e una sfilza di presunte ‘saguterie’ che avrebbe fatto impallidire Giovanni e Paolo, come li chiamano, così, per intimità funeraria.

Pensi che il peggio sia passato, insomma, ti rilassi, accendi la tv. Neanche il tempo di cambiare canale che ti viene addosso tutto il blob del già detto, scritto e rimasticato, somministrato in pillole di sceneggiata da prendere una volta al dì, preferibilmente la sera.

L’elenco appare desolante. C’è l’impraticabile ‘Romanzo siciliano’, con un Fabrizio Bentivoglio – già valentissimo attore, che spettacolo il suo Giorgio Ambrosoli ispido di dolore e umanità – ridotto alla bollitura di se stesso. Il cascame della mascella, il siculo da parata – ci manca giusto un “minghia signor tenente” -, l’accetta che taglia i buoni e i cattivi, senza un tentativo di approfondimento, compongono il ritratto usurato della fumisteria.

C’è il filmino su Boris Giuliano. C’è il filmetto “Era d’estate” e via antimafieggiando. Vince sempre e comunque la fiction pedagogica che continua a proporre il trionfale birignao di un’ipocrisia, innalzando i santini al posto delle persone in carne e ossa. E hanno il coraggio di prendersela con ‘Gomorra’ per i contenuti non edulcorati, come se dolcificare il sangue non fosse già una suggestione da pessimi maestri.

Un polpettone davvero disgustoso e reiterato. Del resto, come potrebbe risultare altrimenti se la finzione, cioè il fumo invece dell’arrosto, discende sempre dalle cose in sé? Le prove sono evidenti. Ecco al proscenio Rosy Bindi, nella recente celebrazione di Capaci: “Non abbiamo bisogno di eroi ma di persone, politici, magistrati, giornalisti e preti che fanno il loro dovere”. Davvero? Ma se tutta la mistica della commissione che Rosy governa si basa proprio sull’esaltazione dell’eroismo, sulla venerazione delle statue di marmo?

Ecco il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando a ‘Repubblica’, qualche tempo fa: “Il 23 maggio? Spero diventi un giorno feriale (e intanto si è blindata la città, ndr). Prima le manifestazioni di piazza servivano a difendere la vita di qualcuno. Oggi non dico che non siano utili, ma rischiano di essere il paravento di un’antimafia ambigua”. Sul serio? Ma se tutta la liturgia dell’Orlandismo, in salsa di necessità del sospetto, è stata costruita su una certa estetica politico-filosofica dei paraventi che Sciascia isolò in laboratorio per primo e l’analisi gli costò lo spernacchiamento di troppi quaquaraquà?

Ecco – bellezza mia – la fiction diffusa al posto dell’onesto e ruvido profilo degli eventi, la trama che ha smarrito l’aderenza ai fatti, eleggendo la fissità marmorea della statua a suo imperituro canone – nei plot televisivi come altrove – portando alla ribalta improbabili attori e stagionati politici, sull’effervescenza del luogo comune. Ma si tratta delle medesime bollicine.

Ai margini, in una zona dolente e silenziosa della coscienza, rimangono Giovanni e Paolo – cioè il dottore Falcone e il dottore Borsellino – che mai si arricchirono e mai perseguirono ambizione che non fosse la verità, nella giungla dei nuovi ricchi e degli ambiziosi in carriera. Per questo li amiamo e loro ancora ci parlano, senza orpelli, né sceneggiature: semplicemente umani.


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