Il fuoco, la paura: 'Lascio la Sicilia' | I pm indagano sulla devastazione - Live Sicilia

Il fuoco, la paura: ‘Lascio la Sicilia’ | I pm indagano sulla devastazione

Il racconto di chi ha investito tanto, prima che tutto andasse in fumo.

I roghi in Sicilia
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PALERMO – “Un covo di cenere, ecco cosa rimane. Un covo di cenere”, ripete Enzo Barberi. Sul lungomare di Cefalù, fino a mercoledì pomeriggio c’era il suo club “Le Vele”. C’era e non c’è più. Lo hanno divorato le fiamme nella giornata che ha sfregiato una grossa fetta di Sicilia.

Lo scirocco e il caldo record, le lacune nella prevenzione, l’inefficienza organizzativa e l’azione criminale dei piromani (finora solo sospettata, ma per certi versi scontata): una concatenazione di cause ha reso la storia di Barberi un modello tristemente ripetibile per chissà quante volte. La conta dei danni è ancora in corso.

Basta guardare le foto scattate con il telefonino e raccogliere le sue parole per confrontarsi con la distruzione e la paura. Quella de “Le Vele” era una struttura moderna. Stabilimento balneare con piscina e solarium, ma anche location per eventi di giorno e discoteca di notte.

“Alle 14 eravamo al locale – racconta Barberi che tre anni fa è venuto da Torino a investire in Sicilia –. Ci stavamo preparando per un evento. Abbiamo visto arrivare le fiamme dal Club Med (anche questa struttura è andata distrutta, ndr). Stavamo in allerta. Il locale era dotato di un impianto idrico professionale con delle manichette antincendio”. La barriera di fuoco era ancora lontana, sembrava lontana, ma Barberi aveva ordinato al suo staff di attivarsi: “Bagnavano le piante e il terreno tutto attorno alla struttura”.

Poi, si è alzato il vento, ancora più forte: “In un attimo le fiamme hanno inghiottito il bosco. Siamo scappati tutti. Con mia moglie e mio figlio abbiamo raggiunto il parcheggio. Cinquanta metri appena. Mi sono sembrati cinquanta chilometri. Mi creda, io non sono né tragico, né filodrammatico, ma abbiamo davvero rischiato la vita. Sentivamo la pelle bruciare”. E i soccorsi? “Fino alle 18 non si è visto nessuno. Non rispondeva nessuno al telefono. Mio figlio è corso dai carabinieri. Poi, sono arrivati i poliziotti, ma solo per evitare di fare passare la gente. Tutto questo poteva essere fermato. Bastavano due autobotti di acqua. Era prevedibile”.

Barberi fa un passo indietro, alle ore precedenti il disastro: “Tutti sapevano che sarebbe arrivato il gran caldo. Bastava aprire un qualunque giornale. La notte prima già bruciavano le campagne. Magari avessero lanciato l’allarme, forse si poteva anche pensare di fare arrivare dei mezzi di soccorso da altre regioni. Tutti sapevano dell’ondata di caldo che stava per colpire la Sicilia”. E ora Barberi, torinese che ha investito in Sicilia, cosa farà? “Guardi, io venivo da bambino in vacanza a Cefalù e così tre anni fa ho realizzato il sogno di fare qualcosa qui. Ero soddisfatto, il posto accogliente, piaceva parecchio alla gente. Le confesso che non escludiamo di tornare. Il locale è assicurato, ma ora inizieranno le perizie, gli accertamenti. Chissà quanto tempo passerà. Spero che questo insegni qualcosa a tutti. Il rilascio delle autorizzazione era vincolato all’utilizzo esclusivo del legno per costruire la struttura. Forse bisogna rivedere qualcosa, magari si possono utilizzare materiali diversi, più moderni anche se sempre removibili”.

Nel racconto di Barberi ci sono tanti spunti che meritano un approfondimento. Innanzitutto investigativo. Le Procure di Palermo e Termini Imerese hanno aperto due inchieste. Attendono le informative delle forze dell’ordine. Le prime indicazioni di chi con le fiamme ha avuto a che fare sul campo parla di decine, centinaia di focolai sviluppatisi contemporaneamente. Non può che essere stata opera di piromani – secondo alcuni, della criminalità organizzata – che hanno interesse a bruciare la Sicilia. Ma va anche affrontato il tema dei soccorsi e della prevenzione. Si poteva fare di più, contenere le dimensioni della tragedia o di fronte all’inferno è stato fatto tutto il possibile? Le lacune, come dicono in molti, ci sono state. A cominciare dal ritardo sulle attività di prevenzione (creazione dei viali parafuoco, pulizia del sottobosco) avviate appena venti giorni fa. Oltre alla carenza dei mezzi a disposizione degli operatori. Inefficienze segnalate anche da diversi sindacati di categoria.

A questo punto bisogna accertare di chi è stata la responsabilità. La parola passa ai pm, mentre la politica arriva, come sempre, il giorno dopo. Convoca conferenza stampa, annuncia rivoluzioni organizzative, avvia la caccia ai responsabili quando non resta altro da fare contare i danni. Troppo tardi.

Le vele prima dell'incendio


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