Ecco come farfuglia la politica | di fronte al disastro dei rifiuti - Live Sicilia

Ecco come farfuglia la politica | di fronte al disastro dei rifiuti

Immondizia a Villagrazia di Carini, Foto La Cavera

C'è chi invoca "senso di responsabilità", "tavoli tecnici", "superamento delle divisioni",  "mozioni di censura". Ma la gente non ne può più.

PALERMO – Per il segretario regionale del Pd bisogna “superare le divisioni in giunta” e lavorare “a un progetto per il futuro”. Per il capogruppo dell’Udc Turano serve “un tavolo”, per il Nuovo centrodestra una “mozione”, per il capogruppo dei democratici, la colpa è di chi ha governato prima. I politici siciliani provano a fermare il vento con le mani. Provano a stendere, sui cumuli di rifiuti che rischiano di coprire la Sicilia in piena stagione turistica, il telone della retorica, del “politichese”.

Anselmo e le ombre del passato

Ma la gente non ne può più di fronte a un disastro che si aggiunge ai disastri (gli incendi, le Province, i conti…). Ai siciliani non arriva più quel messaggio, quel richiamo alla resposabilità che fa solo il solletico, e provoca persino un sorriso se calato nel paradossale comunicato, ad esempio, di Alice Anselmo: “La situazione dei rifiuti in Sicilia – ammette – è oggettivamente grave, ma è proprio in momenti critici come questo che c’è bisogno di senso di responsabilità istituzionale da parte di tutti i soggetti coinvolti, mettendo da parte le polemiche e cercando le migliori soluzioni. Non possiamo che rimanere stupiti – continua la Anselmo – di fronte agli attacchi di quei partiti che per anni hanno mal governato la Sicilia. L’attuale emergenza è il frutto di decenni di scelte sbagliate, – conclude – compiute proprio da quelle forze politiche che oggi puntano il dito come se venissero dalla luna”. Una dichiarazione a tratti sconcertante, se solo si pensa che il Partito democratico è al governo della Sicilia – in un modo o nell’altro – da circa sette anni. Sette. Che non sono bastati, per intenderci, a rispettare un Piano dei rifiuti, a mettere a regime una vera riforma, a spingere i sindaci al miglioramento della differenziata, a non restare “strozzati” dalle potenti discariche private, a costruire impianti di trattamento meccanico biologico, a evitare che l’emergenza, insomma, sia la fisiologia di un’Isola irredimibile.

Le puntuali divisioni del Pd

E invece, si guarda a dieci, quindi, venti anni fa. Dove risiedono, certo, alcune responsabilità. Ma in sette anni si cambia il mondo, figuriamoci una Regione. E invece, eccoli i richiami al “senso di responsabilità”, a “fare squadra” quando si è giunti al quarto rimpasto, quando dalla giunta è passata una cinquantina di assessori. Adesso bisogna “superare le divisioni”, invita Fausto Raciti, rifrendosi soprattutto al presidente Crocette e all’assessore Contrafatto. Una refrain che, a dire il vero, va avanti da anni, pure questo. Da quando cioè il Pd doveva superare le divisioni sul sostegno a Raffaele Lombardo, sulla creazione di un governo politico, sulla presenza dei cuperliani in giunta, sul caso Borsellino, sull’ingresso nell’esecutivo di Fiumefreddo, sulle polemiche innescate da Nicolò Marino e ancora, sul braccio di ferro costante e puntuale tra Roma e Palermo.

I penultimatum di Roma, le sicurezze di Crocetta

Già, perché anche da Roma non è che si faccia molto di più. Davide Faraone minaccia il “commissariamento”. Ma la gente è stanca anche di questo. Stanca della contraddizione di un’area del partito che boccia un governo del quale fa militarmente parte. A cominciare proprio dal settore dei rifiuti. Parole che rischiano di allungare l’elenco degli ultimatum diventati penultimatum e in qualche caso svaniti come bolle.

E intanto, il presidente della Regione, invece di scusarsi con i siciliani, fa persino la voce grossa, tirando fuori dall’armadio di Palazzo d’Orleans, proprio per punzecchiare il sottosegretario, un po’ di armamentario renziano: “I gufi sono serviti”, afferma, come se avesse risolto il problema e non, invece, messo – come al solito – una pezza su falle che presto si riapriranno. “Nonostante le difficoltà ereditate dal passato, – ha aggiunto – governiamo processi difficili con decisione e determinazione”. Ma ormai ci crede solo lui.

La mozione non ha voce

Intanto, ecco che incombe su Vania Contrafatto il rischio di una mozione di censura. Uno strumento di una inutilità assoluta. Che, nelle migliori delle ipotesi, può al massimo tramutarsi nell’autogol di chi lo promuove. In questa vicenda, a dire il vero, l’autogol è già arrivato. Perché a proporre la censura contro la Contrafatto è stato un esponente del Nuovo centrodestra, sostenuto, pare, dal resto del gruppo parlamentare degli alfaniani. Piccolo particolare: di quel governo fa parte lo stesso Ncd, tramite la presenza dell’assessore ai Beni culturali Vermiglio. Di cui, a dire il vero, nemmeno i “nuovocentrodestristi” sembrano poi così contenti. Gli stessi alfaniani che sono ancora convinti che la Sicilia sia una terra “di moderati”, di centristi ai quali “ridare un progetto credibile”. Un approccio fermo al 1990, o giù di lì, mentre il mondo e la politica, anche in Sicilia – ebbene sì, anche qui – è tutta un’altra cosa. Ma tra i “moderati” l’atteggiamento sembra quello di chi rifiuta ancora il cellulare e cerca una cabina telefonica dove infilare un cumulo di gettoni.

Fermare il vento con le mani

Insomma, una pioggia di retorica, proprio quando non serve. Quando, cioè, la Sicilia è già piombata nel caos. E le immagini dei cumuli fanno già il giro dell’Italia. Insieme a quelle dei camion, colmi di immondizia, che fanno la fila di fronte alle discariche colme, manco fosse l’ingresso di una discoteca di grido. E invece è solo l’immagine di uno sfacelo, di un disastro politico e amministrativo. Che si aggiunge a tanti altri: dalla gestione dei conti alle Province che stanno arrivando al default, e che si somma agli incendi che hanno carbonizzato l’Isola e alle strade che cedono, alle esportazioni che crollano, ai debiti che continuano a crescere, tra i sacchetti dell’immondizia. Un disastro del quale bisognerebbe semplicemente rendersi conto, a Roma come a Palermo. Staccando la spina nel primo caso, o “responsabilmente” arrendendosi all’evidenza dei fatti, nel secondo. Ma di fronte a tutto questo, la politica non sa fare di meglio che invocare tavoli, incontri e, appunto, un senso di responsabilità che si traduce solo nel mantenimento di poltrone e privilegi. Ma ormai è troppo tardi. Per la gente quelle parole, quelle inutili parole, non significano più nulla.


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