Via D'Amelio, "Scarantino? | Genchi lo riteneva 'farlocco'" - Live Sicilia

Via D’Amelio, “Scarantino? | Genchi lo riteneva ‘farlocco’”

Ascoltato come teste il poliziotto Bartolo Iuppa.

Il processo di Caltanissetta
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CALTANISSETTA – “Gioacchino Genchi mi disse che riteneva Vincenzo Scarantino un personaggio ‘farlocco’, non di spessore e non condivideva la linea investigativa delle prime indagini sulla strage di via D’Amelio di seguire le sue dichiarazioni. E mi confidò che per questo motivo aveva abbandonato il gruppo Falcone Borsellino, che se ne era andato sbattendo la porta. Ma non mi ha fatto altre confidenze, anche perché sul suo lavoro era molto abbottonato”. Lo ha dichiarato il poliziotto Bartolo Iuppa, deponendo come teste nel quarto processo per la strage di via D’Amelio in merito ad alcune confidenze che si sarebbe scambiato con Genchi sulle prime indagini per l’attentato del 19 luglio ’92. Iuppa, all’inizio degli anni ’90, ebbe anche una relazione con Lucia Borsellino. “Per Genchi la mafia non si affidava a personaggi di quel tipo. Devo dire che anche io avevo perplessità su Scarantino, avevo appreso da fonti giornalistiche che si vociferava di una sua omosessualità e la mafia non si affida a queste persone, per quanto mi risulta”.

“La sera del 9 febbraio 94 la moglie di Vincenzo Scarantino si presentò sotto casa della famiglia Borsellino e pretendeva di parlare con la signora Agnese, la vedova del giudice per dirle che il marito era sottoposto a violenze e i suoi carcerieri lo stavano facendo morire”, ha aggiunto Iuppa. Che quella sera era in casa Borsellino visto che all’epoca era fidanzato con Lucia Borsellino. “La signora Agnese – ha aggiunto – andò in confusione, si mise a tremare, non voleva parlare con questa signora. Scesi io in strada, ma la Scarantino mi disse che voleva incatenarsi lì se non fosse riuscita a parlare con la vedova di Borsellino, parlava di rivolgersi a Caselli o alla Boccassini e diceva anche di volersi incatenare davanti alla Rai”.

“Sull’accaduto – ha puntualizzato il teste – feci una relazione di servizio. Quando risalii in casa il telefono risultava muto e la signora Borsellino si allarmò. Io chiamai il 113 con il mio cellulare e la signora Agnese mi domandò di chiamare anche il dott. Finazzo che era il vicario della Questura di Palermo. Ricordo pure che nel periodo tra il 2014 e il 2015 ho incontrato Lucia Borsellino quando era assessore regionale parlai con lei di questa vicenda della moglie di Scarantino, e ci dicemmo che nessuno dei due era stato chiamato a deporre sul fatto”. Completando il suo esame Iuppa, incalzato dalle domande del pm Stefano Luciani, ha aggiunto, in merito alle confidenze ricevute da Genchi sul falso pentito Vicenzo Scarantino: “Ripeto che Genchi lo riteneva farlocco e se non ricordo male sospettava che poteva anche essere stato imbeccato. Ma senza nessun altro riferimento”.

“Non ho ricevuto mai nessuna confidenza da poliziotti del gruppo Falcone Borsellino su imposizioni fatte da Arnaldo La Barbera per commettere illeciti nella gestione del pentito Scarantino. Con i poliziotti che lavoravano con La Barbera si parlava del fatto che questi avesse un brutto carattere, che era burbero, che era severo, ma nulla di altro. Se avessi saputo una cosa del genere avrei fatto una relazione di servizio”, ha detto ancora ai giudici Iuppa. Il testimone ha negato di avere mai appreso notizie sul presunto depistaggio nelle prime indagini sulla strage di via D’Amelio. Circostanza che era stata rivelata dal magistrato Domenico Gozzo in una relazione di servizio, ma Iuppa aveva già negato tutto il 3 giugno durante l’interrogatorio davanti ai pm nisseni.

La Corte d’Assise di Caltanissetta ha ribadito, intanto, nell’udienza del quarto processo per la strage di via D’Amelio, che il magistrato Domenico Gozzo, non verrà ascoltato perché è stato uno dei magistrati impegnati nelle nuove indagini per l’eccidio del 19 luglio 92. La richiesta di audizione di Gozzo era già stata respinta durante l’udienza del 15 giugno scorso. Stamane sia i pm Gabriele Paci e Stefano Luciani che i legali di parte civile Giuseppe Scozzola e Rosalba Di Gregorio avevano reiterato la richiesta di audizione di Gozzo, sostenendo che il magistrato aveva ricevuto da Gioacchino Genchi alcune confidenze sul presunto depistaggio nelle prime indagini sulla strage di via D’Amelio in un momento in cui non era più impegnato come pubblico ministero sulle nuove indagini per l’attentato del 19 luglio ’92.

Gozzo, attualmente sostituto procuratore generale a Palermo, aveva incontrato Genchi, ex funzionario di polizia e consulente informatico di numerose procure, alla fine di maggio nel suo ufficio e, in una relazione di servizio, aveva spiegato di avere appreso da lui che un poliziotto della scientifica di Palermo, Bartolo Iuppa, nel ’94 agli avrebbe confidato che due poliziotti del gruppo Falcone-Borsellino non volevano sottostare ai diktat di Arnaldo La Barbera sulla gestione di Vincenzo Scarantino. Iuppa e Genchi, ascoltati dai pm nisseni, hanno però negato questa circostanza e oggi devono deporre come testi nel processo.

*Aggiornamento delle 19.15

“La Barbera aveva un grande intuito investigativo, ma credo che in quelle indagini forse venne scelta la strada più facile perché bisognava dare risposte immediate. Io non volevo starci e me ne sono andato”. Lo ha detto l’ex poliziotto Gioacchino Genchi, durante la sua deposizione in Corte d’Assise a Caltanissetta, nel quarto processo per la strage di via D’Amelio, riferendosi all’ex capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera. “La Barbera – ha aggiunto – era quasi diventato il vero dominus delle indagini sulle stragi, aveva contatti diretti con Tinebra e la Boccassini, quasi non considerava i giovani sostituti, i pm erano quasi in una condizione di gregariato. Ricordo che quando andai a Mantova con il pm Petralia per sentire Candura e Valenti vidi che La Barbera e Ricciardi erano lì, in un’atmosfera quasi di convivialità con le persone che dovevano essere interrogate. Ma come possiamo parlare di genuinità dei collaboratori?”


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