Quelli che volevano trattare | con Provenzano e gli altri boss - Live Sicilia

Quelli che volevano trattare | con Provenzano e gli altri boss

Bernardo Provenzano durante la detenzione al 41bis nel carcere di Parma

Da "Il Foglio". Le visite in carcere dei parlamentari. E quel pentimento che non ci fu.

Dal Foglio
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PALERMO – Il Corriere della Sera di quattro anni fa, esattamente il nove agosto del 2012, raccontò che due parlamentari della Repubblica, Giuseppe Lumia e Sonia Alfano, avevano fatto un lungo ed estenuante tour nelle celle dei più importanti e sanguinari boss della mafia, detenuti in regime di 41bis, per trattare con loro un possibile pentimento. Già che c’erano, i nostri eroi avevano anche affrontato questioni relative a una delicatissima inchiesta ancora sospesa per aria, quella sulla fantomatica trattativa fra stato e mafia, ed erano arrivati persino a dibattere con Nino Cinà, da vent’anni al centro delle più torbide storie di mafia, sull’attendibilità di Massimo Ciancimino, il pataccaro che la procura palermitana ha dovuto arrestare per calunnia dopo avergli accordato per tre anni gloria e copertura: è “quasi una icona dell’antimafia”, aveva sentenziato l’ex pm Antonio Ingroia che del processo sulla Trattativa era stato il maestro compositore, concertatore e direttore d’orchestra. Il Corriere raccontò pure che i colloqui con i boss, da Bernardo Provenzano a Filippo Graviano, avvenivano in siciliano stretto e che, a conclusione dell’ultimo incontro, Cinà aveva salutato la dipietrista Alfano con queste poche ma significative parole: “Sono a sua disposizione, a 360 gradi”.

Come queste cose possano essere accadute resta un mistero che i ministri Guardasigilli e i massimi responsabili delle carceri, dopo quattro anni, non hanno ancora avuto la bontà di chiarire. La legge prevede che un magistrato o un ufficiale di polizia giudiziaria possa incontrare un boss per saggiare la sua disponibilità al pentimento. Ma proprio perché si tratta di una zona grigia, dove è possibile che un investigatore si trasformi in un suggeritore o che la trattativa diventi un patto oscuro e scellerato, i colloqui investigativi devono essere sottoposti al controllo e alla necessaria autorizzazione del procuratore nazionale antimafia e del ministro di Giustizia. Senatori, deputati ed eurodeputati possono varcare anche loro la soglia di un carcere speciale, ma la visita deve limitarsi semplicemente a verificare se i detenuti siano trattati o meno umanamente. Nulla di più.

Giuseppe Lumia, senatore del Pd, e Sonia Alfano, europarlamentare dell’Idv, erano andati invece molto al di là. Vestiti con i paramenti sacri del Parlamento, avevano bussato alle celle dei mafiosi e avevano parlato a nome delle istituzioni. Intavolando di fatto una nuova trattativa tra lo stato e la mafia. Ovviamente mirata, e non avrebbe potuto essere diversamente, a rafforzare l’inchiesta di Antonio Ingroia. Un’inchiesta così fragile che, dopo tre anni di processo, è ancora arenata lì, nell’aula bunker di Palermo alla ricerca di un movente – i mafiosi delle stragi sono finiti tutti sepolti al 41bis – e soprattutto delle prove. La trattativa numero 2 dunque doveva servire proprio a questo: a salvare il processo sulla trattativa numero 1.

Bisogna riconoscere che in questi quattro anni gli zelanti trattativisti della seconda ora non si sono mai arresi. Hanno sempre e comunque sperato di raggiungere l’obbiettivo. Ed è forse per questo che hanno tenuto il boss agonizzante entro i rigori del 41bis. Dall’altro ieri, però, Provenzano è morto. Beppe Lumia e Sonia Alfano – con il codazzo di magistrati, avvocaticchi e giornalisti che ancora spasimano per il processo di Ingroia – possono finalmente smettere di trattare.


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