Piacente, i Ceusi e l'arsenale |venduto ai trafficanti africani - Live Sicilia

Piacente, i Ceusi e l’arsenale |venduto ai trafficanti africani

Le intercettazioni e le complesse indagini che hanno incastrato Carmelo Piacente e la sua compagna Simona Puccia.

i retroscena dell'indagine
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CATANIA – L’accordo per la vendita di armi sarebbe stato siglato nel carcere di Augusta. Partirebbe da una cella il “patto” che avrebbe portato alla vendita di arsenali da guerra verso Malta e l’Egitto e bloccato dai carabinieri in pochi mesi. L’indagine ha portato all’arresto lo scorso mese di Carmelo Piacente e della sua compagna Simona Puccia. Nelle pagine dell’ordinanza, leggendo i capi di imputazione, si rimane basiti di fronte all’elenco delle armi che i due avrebbero portato illegittimanente in Italia. Mitragliatrici Uzi, pistole Skorpion, fucili d’assalto: l’elenco è infinito, oltre 160 tipi di armi.

Carmelo Piacente è uno storico esponente della famiglia dei Ceusi di Picanello: è il fratello del più conosciuto Giovanni “l’ergastolano” Piacente. Il 51enne è stato già condannato per associazione mafiosa e armi. Il passaggio dalla mafia alle armi non è una cosa recente di Piacente, sarebbe una sorta di specialista del settore. Già nel 2009 infatti era stato trovato un vero e proprio laboratorio per modificare armi nel suo garage a Picanello, mentre a casa conservava kalashnikov. Una sorta di “signore della guerra”, ispirandosi al film di Andrew Niccol del 2005, dove un formidabile Nicolase Cage interpreta un trafficante di armi.

Carmelo Piacente avrebbe conosciuto nell’istituto penitenziario siracusano un egiziano (Fathi Abdelkader Mohamed Shalpy Garpua) con precedenti penali in favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. A fine maggio del 2015, appena scarcerato e rimpatriato nel suo paese, lo straniero avrebbe contattato per sms il criminale catanese. Il numero di Fathi è stato trovato in uno dei cellulari sequestrati al Piacente e i due hanno condiviso la detenzione nello stesso periodo. I contatti sono proseguti anche dopo: ad un certo punto Piacente si sente braccato. “Ho problemi… mi cerca Polizia… ancora scappo quando sono sicuro ti chiamo”. In un altro messaggio si fa rifermento anche a un numero di spedizione e a un cifra dollari. Insomma le armi sarebbero proprio destinate all’egiziano.

Piano piano tutti i tasselli sono stati sistemati dai carabinieri che hanno condotto (sotto il coordinamento del pm Rocco Liguori) un’indagine dai risvolti veramente inquietanti. Un primo filone dell’inchiesta, partito dalla segnalazione di un pacco destinato all’isola di Malta contenente armi, aveva portato un anno fa a un decreto di fermo nei confronti del Piacente committente della particolare spedizione. Sequestrate anche diverse armi e documenti. Il criminale di Picanello (e componente della famiglia dei Ceusi) per quasi tre mesi è riuscito è sfuggire alla cattura, ma un poliziotto lo ha riconosciuto ad Acitrezza e a settembre dello scorso anno è finito in manette. Dormiva in un bed and breakfast dove si era registrato sotto falso nome: trovati dagli investigatori nella stanza la carta d’identita e il codice fiscale contraffatti.

I carabinieri non hanno mai smesso di indagare. Sono partite intercettazioni e accertamenti anche con il supporto dell’Europol che hanno chiuso il cerchio sul traffico di armi messo in piedi dal Piacente con l’aiuto e il supporto della sua compagna Simona Puccia, arrestata lo scorso giugno (le due misure sono state confermate dal Riesame). Oltre al pacco intercettato a Catania, anche a Marsiglia è stata bloccata una spedizione di armi sempre a nome di Carmelo Piacente. Inequivocabile l’intercettazione captata durante i colloqui in carcere con le figlie, in cui l’indagato si lamentava di un errore della ditta di spedizioni. Ma inoltre manifestava le sue preoccupazioni per un eventuale approfondimento investigativo: “Ancora poi ci sono indagini – dice – secondo me vanno avanti anche la sopra…tutto…”. Le indagini infatti ci sono state e i carabinieri hanno scoperto che Piacente e la compagna hanno acquistato 165 armi da guerra e comuni (tra cui Uzi e Scorpion) da una società Slovacca per oltre 46 mila euro. A riscontro di questi numeri ci sono le fatture acquisite dalla Procura. Mitra, pistole e fucili che – come emerge dagli esami balistici dei Ris – erano state disattivate attraverso un “traversino” inserito nella canna. Una modifica non definitiva: Piacente infatti una volta rimosso il fermo in metallo le rendeva nuovamente funzionanti e le rivendeva.

Un traffico di armi che gli inquirenti non escludono potesse servire a rifornire le organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani del Nord Africa. Le figlie hanno paura che il padre potrebbe addirittura essere accusato di terrorismo internazionale: “Ma quello che può pensare (si riferiscono al pm) che quelle che hai mandato … ovviamente non è così …all’Isis per dire… hai capito?… tu le potevi vendere a quelli della Libia per dire…”. Piacente alle preoccupazioni rispondeva: “E che centro io? Quelle persone che compravano…”.

Il totale coinvolgimento della compagna Simona Puccia, già accusata di favoreggiamento personale quando a settembre dello scorso anno venne arrestato Piacente dopo un periodo di latitanza, sarebbe provato da quello che il Gip Anna Maggiore descrive come un “formidabile” apparato probatorio. Partiamo da un numero: 161 dei pacchi spediti erano a nome della donna. Oltre questo sin dall’arresto ad Aci Trezza Simona Puccia ha cercato in tutti i modi di far sparire delle prove. In un’intercettazione, sempre durante i colloqui in carcere, informa il compagno che hanno sequestrato diversi cellulari ma che in uno era riuscita a eliminare alcune cose compromettenti. Durante una conversazione, captata, l’indagata parlando con una persona raccontava dell’arresto di Piacente e a un certo punto si lasciava scappare che una spedizione era stata sequestrata. L’interlocutore a quel punto commentava: “Vero? Ma di armi di… di fare?”. La donna rispondeva che si trattava di armi “già fatte”. Per gli inquirenti non ci sono dubbi: Simona Puccia parlava di armi già modificate. E per finire, tra le fatture acquisite dai militari si fa riferimento a una spedizione dello scorso dicembre 2015. La donna quindi avrebbe continuato a comprare armi anche dopo l’arresto del compagno, che in questi mesi di detenzione ha cercato in tutti i modi di ottenere gli arresti domiciliari. Disperato avrebbe anche cercato di risultare tossicodipendente, per poter accedere al programma di supporto del Sert. Avrebbe chiesto ai familiari di spalmare droga su alcuni alimenti, o addirittura avrebbe tentato di sostituire la sua urina con quella di altri detenuti.

 


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