Striscione allo stadio Barbera| La comunicazione di Cosa nostra - Live Sicilia

Striscione allo stadio Barbera| La comunicazione di Cosa nostra

Lo striscione sugli spalti del Barbera

Gli investigatori hanno fatto luce su una scritta apparsa qualche anno fa sugli spalti.

PALERMO – Lo striscione fu esposto nel 2011 allo stadio Barbera di Palermo, ma solo di recente gli investigatori hanno dato una spiegazione a quella scritta che faceva bella mostra sugli spalti: “Giovannello grazie di esistere”. Sarebbe stato l’epilogo dello scontro sulla gestione di un locale notturno che avrebbe visto fronteggiarsi alcuni pezzi grossi della mafia palermitana.

“Giovannello” sarebbe Giovanni Li Causi, ex gestore del bar all’interno dello stadio, assolto in primo grado e poi condannato in appello a otto anni di carcere. Subito dopo la lettura del dispositivo, l’anno scorso, fu arrestato dai carabinieri. Li Causi sarebbe stato chiamato in causa per tentare una mediazione fra Francesco Paolo Conti e Michelangelo Maurizio Lesto che si contendevano la gestione di Villa Giuditta a San Lorenzo. Conti aveva capito che erano iniziate le manovre per estrometterlo e si sarebbe rivolto a Gaetano Tinnirello, anziano e rispettato uomo d’onore di Corso dei Mille, di recente tornato in cella. Sarebbe uno dei grandi vecchi di Cosa nostra chiamato in causa per dirimere piccole e grandi controversie.

“… voi continuate a fare come se niente fosse…”, disse Tinnirello a Rosa Vernengo, moglie di Conti. Il grande vecchio scendeva in campo. Il 25 luglio 2011 si svolsero due riunioni. Nella prima – un pranzo a Villa GIuditta – si incontrarono Giulio Caporrimo, allora reggente del mandamento di San Lorenzo, Giovanni Li Causi, Francesco Paolo Conti e Michelangelo Lesto. Subito dopo, nel piazzale dello stadio Barbera, si diedero appuntamento Conti, Li Causi e Tinnirello. Cosa c’era di tanto importante da discutere? Forse la spiegazione si può rintracciare nelle parole di Lesto intercettate pochi giorni dopo. Parlando con un dipendente spiegava che “… Giovannello Li Causi se lo è preso il locale…”. Così come Conti spiegava a un’altra dipendente che “…il suo nuovo titolare è il signor Giovannello Li Causi…”.

La quadratura investigativa arriverebbe dalle microspie piazzate nella macchina di Li Causi. “… l’abbiamo chiuso il discorso. Io e Franco … abbiamo chiuso l‟affare…”, diceva alla moglie che chiedeva: “ “… ed è di tutti e tre?… Giulio affaccia? (compare ndr) …”. E Li Causi rispondeva “…Lui no, ma neanche Franco affaccia. Sanno che è solo mio… tutti… hai capito?…”. Il progetto, dunque, prevedeva che Li Causi estromettesse Lesto dalla gestione di Villa Giuditta, facendo da prestanome a Caporrimo e Conti.

E arrivò il 28 luglio quando Conti, per manifestare platealmente tutta la sua soddisfazione avrebbe fatto esporre lo striscione al Barbera. Fu una gioia effimera, però. Come sarebbe emerso dalle successive indagini dei carabinieri Li Causi avrebbe fatto un passo indietro. Così Conti commentava l’episodio: “… non può essere, da parte di coso non può essere Giovannello (Giovanni Li Causi, ndr) perché problemi su problemi e cose varie, questo e quello…”. Un’intercettazione del successivo 25 agosto testimonierebbe che alla fine le cose andarono nella direzione opposta, visto che Lesto telefonò a Li Causi per invitarlo all’inaugurazione del locale.

Storia tormentata quella di Villa Giuditta. Lo scorso aprile i carabinieri hanno sequestrato a Lesto l’impresa individuale “Villa Giuditta Lesto Francesca” e la discoteca Piper di viale Piemonte a Palermo. Secondo i giudici della sezione Misure di prevenzione del Tribunale i suoi redditi non potevano giustificare gli investimenti. Una sperequazione che ha fatto scattare il nuovo sequestro. Nuovo perché i due locali sotto sequestro c’erano già finiti con un provvedimento che era stato, però, annullato dalla Cassazione.

Quando nel 2013 i carabinieri azzerano il mandamento mafioso di Bagheria, saltarono fuori i presunti interessi mafiosi dietro il locale. L’unica fonte di accusa, però, era costituita da alcune intercettazioni telefoniche. Sul giudizio della Suprema Corte pesò anche il fatto che nel frattempo era stato condannato l’uomo che aveva tentato di imporre il pizzo a Lesto. L’imprenditore denunciò pure la vicenda. Come poteva essere contemporaneamente amico e socio dei boss e vittima del pizzo?


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