Santapaola, Mazzei, Cappello |Cosa nostra si riorganizza - Live Sicilia

Santapaola, Mazzei, Cappello |Cosa nostra si riorganizza

Blitz ma anche scarcerazioni: gli inquirenti non abbassano la guardia.

CATANIA – Capimafia rinchiusi al 41 bis e boss emergenti arrestati appena si sono seduti sul trono del “padrino”. Santapaola e Mazzei, i due clan accreditati alla cupola palermitania della città di Catania, sono stati sventrati dai vari blitz che si sono susseguiti in questi ultimi mesi. I colpi micidiali inferti alla mafia hanno anche interessato il pericoloso gruppo dei Laudani che “opera” maggiormente nell’hinterland etneo (il blitz Vicerè porta in carcere 109 Mussi I Ficurinia). Anche i Cappello-Carateddi sono nel mirino degli inquirenti. Cosa nostra è stata decapitata ma non per questo le famiglie mafiose si arrendono. Attraverso canali, conosciuti e non, riassettano gli equilibri e rafforzano le trincee.

Mario Strano

Analizzando i possibili assetti della mafia catanese, non si può tralasciare la scarcerazione di Mario Strano, lo storico capo di Monte Po. Da qualche mese ha terminato di scontare la condanna definitiva per mafia inflitta nel processo Revenge (contro il clan Cappello Carateddi) e ha lasciato il carcere. Al processo d’appello a carico di Raffaele Lombardo Mario Strano si è seduto al banco degli interrogatori da uomo libero. E’ quasi scontato affermare che i suoi movimenti sono monitorati dalle forze dell’ordine. Il suo è stato un nome di peso nello scacchiere della mafia catanese: aveva in mano la carta delle estorsioni di Monte Po. Strano finisce in carcere quando decide di passare insieme ai fratelli dalla corte dello Zu Nitto a quella del “folle” Sebastiano Lo Giudice. Dai Santapaola ai Carateddi, frangia armata dei Cappello. I pentiti raccontano che Mario Strano si sentiva braccato dall’interno del suo stesso clan e nel 2009 decide di affiliarsi con i Carateddi. Anzi sarebbe stato lui stesso a suggerire al boss Lo Giudice la prima vittima della cruenta guerra di mafia tra Cappello e Santapaola. Crivellato di colpi è Raimondo Maugeri. La faida e gli ambiziosi piani criminali di Lo Giudice vengono sventati proprio dal blitz Revenge. Non solo suggeritore di omicidi, Strano ne avrebbe ordinato uno negli anni ’90. Nell’indagine del filone Fiori Bianchi è emerso che il capo di Monte Po sarebbe stato il mandante dell’uccisione di Salvatore Pappalardo. In gioco ci sarebbe stato il controllo del quartiere al confine con Misterbianco.

Sebastiano Mazzei

Un quartiere quello di Monte Po dove da qualche tempo avevano preso potere i Mazzei con una propria cellula dedita alle estorsioni.Poco tempo dopo la cattura del capomafia Sebastiano Mazzei, i carcagnusi di Monte Po sono finiti in gattabuia. Un’ulteriore sconfitta per il clan che però intanto si riorganizzava per sopperire alla latitanza prima e all’arresto poi del proprio capo. Anche questa volta la mano della giustizia ferma ogni piano criminale, e la “nuova famiglia” dei Mazzei (così il nome dell’inchiesta) viene sgretolata sul nascere. Gli inquirenti lavorano per seguire ogni possibile mossa dei Carcagnusi, che hanno la loro roccaforte a San Cristoforo. I Mazzei sono i “manager” del crimine, perchè si sono specializzati sempre di più nell’infiltrazione nella cosiddetta economia legale attraverso il controllo di società e aziende. Anche se gli affari relativi alla droga persistono.

Andrea Luca Nizza

San Cristoforo è anche la roccaforte dei Santapaola. Andrea Nizza – fino alla sua latitanza almeno – aveva preso il controllo dei territori che gestivano i suoi fratelli Daniele e Fabrizio. Anche se il suo quartier generale è Librino. Con l’ultima operazione Chartago la magistratura ha inferto il colpo definitivo al gruppo dei Nizza che gestiva un fiorente traffico di ogni tipo di stupefacente.  Non a caso per l’inchiesta è stato scelto il nome della città di Cartagine, che nell’epoca del suo massimo splendore stava per governare su tutto il Mediterrraneo e stava per sconfiggere anche i romani. Ma quando è iniziato il suo declino Roma ha deciso di distruggerla del tutto per evitare che in futuro potesse riorganizzarsi. Lo stesso obiettivo della magistratura.

Il triunvirato di Cosa Nostra

I Santapaola poi hanno perso il loro nuovo leader, oltre ai capi che avevano preso il comando della mafia calatina. Il blitz Kronos del Ros ha provocato un vero e proprio terremoto all’interno di Cosa nostra. Francesco Santapaola (figlio del defunto Salvatore Santapaola) avrebbe – secondo la Dda – preso le redini del clan, affiancato da Turi Seminara nelle terre calatine e da Giuseppe Floridia dei Nardo per allargare il dominio nella fascia lentinese. Una riorganizzazione che avrebbe provocato tensioni intestine con possibili omicidi e vendette. Ci sarebbe stato il piano di uccidere il boss di Palagonia Alfonso Fiammetta. Poco dopo il blitz alcuni picciotti avevano preso in mano alcune estorsioni, nemmeno il tempo di intascare il pizzo che i militari del Ros li hanno arrestati.

Cosa nostra dunque si riorganizza. La strategia “dell’inabissamento” (di cui parla la Dia da diversi anni) è ancora una volta quella scelta per riappropriarsi del controllo criminale. Una strategia che però non sembra toccare quel triangolo alle falde dell’Etna tra Paternò, Adrano e Biancavilla. Una guerra armata quella tra gli Assinnata e i Rapisarda che ha portato ad omicidi e tentati omicidi negli anni scorsi e sembra riaccesa da qualche mese. A proposito degli Assinnata, a loro piacerebbero le trionfali attestazioni di sudditanza del popolo. Quell’inchino durante i festeggiamenti di Santa Barbara però non poteva certo sfuggire alle forze dell’ordine. O forse ci sperava il boss di Paternò.

“Non bisogna abbassare la guardia” – il procuratore Giovanni Salvi lo diceva sempre dopo ogni retata. Un’impronta che il pg di Roma ha lasciato nella struttura investigativa di Catania che non molla e tiene il fiato sul collo a chi è interno e orbita nelle consorterie criminali. La dimostrazione arriva con le inchieste Nuova Famiglia sui Mazzei, Kronos sui Santapaola, Chartago sull’impero della droga dei Nizza. Risposte immediate ai tentativi di riorganizzazione dei vertici con le necessarie sostituzioni di chi è finito dietro le sbarre. Il carcere: questo è un altro luogo da tenere sotto attenta sorveglianza. Non basta una cella a volte per fermare le direttive dei capi. Il livello di guardia sembrerebbe altissimo della giustizia catanese. Almeno a sentire quello che si sussura tra i corridoi della procura di Catania targata Carmelo Zuccaro: “Settembre sarà un mese caldo, non devono avere il tempo di organizzarsi”.

 

 


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