Blindspot, l'app anonima | che scatena la polemica - Live Sicilia

Blindspot, l’app anonima | che scatena la polemica

La nuova applicazione ha fatto molto parlare di sé nel mondo e ha generato pesanti critiche

Nuove app si affacciano sullo schermo dei nostri smartphone. Sono, per lo più, applicazioni utili a scambiare immagini e contenuti, ma vengono monitorate in modo attento dagli osservatori economici, in quanto, oltre a veicolare rapidissimamente messaggi di vario tipo, sono analizzabili sotto il profilo del ritorno dell’investimento, e conferiscono visibilità alle aziende, con potenzialità d’uso che vanno ben oltre quello privato e personale.

Una veloce panoramica. Come evoca il nome, l’ultima nata nel mondo variegato delle applicazioni, Shots, consente lo scambio di foto e video realizzati con la videocamera rivolta verso se stessi. In buona sostanza, si tratta di un diffusore di selfie, sui quali, in modo automatico, appaiono data e ora, contrassegnati da caratteri font volutamente datati (erano quelli delle ormai obsolete videocassette), che conferiscono un raffinato effetto vintage.

Hyper, invece, individua mediante hashtag tematici gruppi di persone con i medesimi interessi – cinema, musica, moda, viaggi -, quindi consente a chi si iscrive di inserire nel database un certo hashtag, per poi ricevere i contenuti inerenti nel suo profilo e condividere le immagini. Per i fashion addict, è nata Wanelo, che, come indica il nome (significa difatti Want Need Love: lo voglio, ne ho bisogno, lo amo), è finalizzata alla ricerca e all’acquisto dei capi alla moda. Infine Blindspot, un sistema di messaggistica anonima, serve, a dirla elegantemente, a flirtare. Ma per dare un’idea chiara di quest’ultima applicazione, poche righe definitorie non sono sufficienti.

Quando s’indagano i complessi, e spesso sofferti, mondi dell’infanzia e dell’adolescenza, il primo sorprendente dato che si riscontra, pur non avendolo tra le opzioni di ricerca, svela in quale cospicua misura i colossi commerciali e gli inventori del web tengano conto dei gusti e delle abitudini delle nuove generazioni: ed è un’informazione che fa riflettere. Le ricerche sull’uso di internet da parte dei giovanissimi, come ha acutamente focalizzato l’esperto di strategie digitali Paolo Ratto (‘Mobile, Social e Chat App: com’è il Web a 9, 14 e 17 anni?’), permette alle aziende di orientare il mercato rispetto alle abitudini delle nuovissime generazioni, con l’acquisizione di informazioni interessanti riguardo all’evoluzione dei fenomeni relativi all’uso dei dispositivi elettronici e all’interazione con la rete.

E l’attenzione dei produttori deriva dal fatto che proprio il pubblico degli adolescenti è quello del quale è più difficile catturare l’interesse. Dallo studio emerge che l’uso di computer fisso e di portatile è in netta decrescita, mentre quello dello smartphone in aumento. I ragazzi ritengono app irrinunciabili Whatsapp e Twitter, e, sorpresa delle sorprese, per loro Facebook, social network ormai di culto per anziani e giovanilisti, ‘potrebbe anche sparire’. I bambini lo usano perché lo usano i genitori, ma gli adolescenti preferiscono Instagram, del quale si può apertamente dichiarare l’utilizzo. E poi, ci sono le chat delle quali non si parla. Più furbi che in passato, se i giovanissimi usano Snapchat, dei cui rischi abbiamo scritto (‘Il pericoloso gioco dello snap’, Livesicilia 20 dicembre 2015), provano a tenerlo nascosto ai genitori.

E se quest’app così rischiosa non rientrava certo fra le nostre preferite, pare che al peggio non ci sia fine, perché è chiaro che la logica che muove certe ‘invenzioni’ è legata semplicemente al profitto. L’app di messaggistica Blindspot ha fatto molto parlare di sé nel mondo e ha generato pesanti critiche. Gratuita, disponibile per gli smartphone sia con sistema Android che iOS, questa applicazione, sviluppata da Shellanoo Group, consente di inviare messaggi, note vocali, video e foto in modo totalmente anonimo. La persona che non ha ancora l’app viene avvisata da una notifica, e quindi subito invitata a scaricarla a sua volta per accedere al contenuto ricevuto. Una sorta di novella catena di Sant’Antonio, con il dovuto rispetto per il reperto citato, ma non altrettanto innocua. Difatti, come si diceva un tempo, la domanda sorge spontanea: perché mai inviare un messaggio anonimo? Davvero di questi tempi qualcuno crede ancora agli innamorati timidi e trepidanti? Ai Cyrano de Bergerac che poetano sull’amata nascosti nell’ombra della sera?

Ma quando mai! Omettere l’identità personale serve, di solito, a proteggere comportamenti negativi: basti pensare all’uso selvaggio di lettere e chiamate anonime. Si evita di farsi riconoscere perché consapevolmente -ed è questo il fatto grave- quello che si va a fare, a dire, a scrivere, deve rimanere un’azione ‘ad opera di ignoti’, e quindi non perseguibile. La chiarezza e l’onestà hanno a che fare con il rispetto di sé e degli altri: i messaggi anonimi, con la prevaricazione, le molestie e il bullismo.

Sembra che l’app abbia avuto recensioni negative nel mondo degli app store. Quello che è certo è che in Israele, luogo della sua invenzione, è divenuta un caso politico. Due deputati della Knesset (il Parlamento monocamerale israeliano) hanno chiesto sia a Google che ad Apple di rimuovere Blindspot dai loro negozi online, detentori di ampie fasce di mercato, e hanno annunciato di essere pronti a varare una legge per bandirla. Con alcuni deputati, esperti e opinion leader, i giovani israeliani, hanno discusso pubblicamente e hanno espresso il loro dissenso protestando contro Blindspot e chiedendone la soppressione, in quanto incoraggia i persecutori digitali ed è responsabile di episodi di suicidio.

Dal canto suo, David Strauss, portavoce della società sviluppatrice di Blindspot, ha risposto che l’anonimato online è  ‘semplicemente una evoluzione, che piaccia o meno’. Nonostante le critiche e le proteste degli utenti, effettivi e potenziali, e l’attivismo delle vittime di cyberbullismo, la Shellanoo si è difesa affermando che per vedere i messaggi bisogna avere scaricato la app, che i testi non sono pubblici e che per bloccare quelli inappropriati è sufficiente ‘schiacciare un tasto’. Ma è stato accertato che sin dalle prime settimane dal lancio l’app è stata usata dai ragazzini per inviare insulti anonimi e persino minacce di morte, al di là del fatto che l’azienda continui a sostenere che Blindspot non dovrebbe essere incolpata per le azioni dei suoi utenti, ma essere usata per amore, magari da chi è timido! Al di là della facile ironia, ovviamente sono state previste alcune precauzioni. L’app prevede delle misure di sicurezza per segnalare e bloccare comportamenti inappropriati; se lo stesso mittente viene bloccato da almeno tre persone, viene estromesso dalla app.

Shellanoo, che pubblicizza Blindspot come ‘divertente app che permette di esprimersi liberamente senza temere il giudizio degli altri’, non accetta peraltro le accuse che le sono state rivolte, non mostra alcuna perplessità sull’ambivalenza d’uso e sulla potenziale pericolosità, e si gloria, piuttosto del successo conseguito. Con qualche ragione, almeno sotto il profilo economico. Dopo un solo mese dal lancio era tra le più scaricate di iOS e Android, con 750.000 utenti e sessanta milioni di messaggi inviati. Numeri che fanno riflettere e suscitano un interrogativo: ne avevamo davvero bisogno? Non bastavano Facebook, Snapchat, Whatsapp e quant’altro, pure i programmi che lavorano in completo anonimato per consentire alla cattiveria di avere libero sfogo?

Senza giungere necessariamente al cyberbullismo, grazie a Blindspot, per dirla con l’ennesimo neologismo, impazza il trolling. Quest’ultima modalità di comportamento lesivo merita un ulteriore approfondimento. Nel linguaggio della rete, un internet troll (letteralmente ‘folletto della rete’) è un soggetto che interagisce con messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o senza senso, solo per disturbare la comunicazione o creare agitazione. Il troll conduce un gioco di false identità senza il consenso o la consapevolezza degli altri e cerca di passare per un legittimo utente di una comunità virtuale per danneggiarla in molti modi, ad esempio interrompendo le discussioni, dando cattivi consigli, minando la fiducia reciproca. Il trolling si esprime anche nella diffusione di messaggi di minacce, insulti, scherni, per molestare gli altri in pubblico. Pubblico virtuale, s’intende, ma non per questo meno feroce. E se la diffusione di ogni genere di contenuto, dalle foto ai video e ai testi, è anonima, si comprendono i rischi.

La app ha come simbolo uno smiley con la linguaccia fuori e la benda nera da pirata su un occhio, ma l’ammiccante faccina gialla stavolta non suscita alcun sorriso. La società globale si interroga su come arginare la dilagante violenza e le pressioni che bombardano i ragazzi, cui la tecnologia offre inusitate potenzialità spesso con conseguenze drammatiche; è più che mai necessario uno sforzo comune, una riscossa delle persone di buon senso. Intanto, i genitori che si oppongono a Blindspot hanno realizzato un video, diffuso via Internet. Una famiglia in lacrime è al cimitero attorno a una fossa da riempire, ma non con l’ennesima vittima del bullismo. Sulla bara c’è il simbolo della faccina con la benda da pirata: è Blindspot che va seppellita, non i nostri figli.

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