"Tutto... i piedi gli ho rotto"| Pestato per strada dai nuovi boss - Live Sicilia

“Tutto… i piedi gli ho rotto”| Pestato per strada dai nuovi boss

Un frame delle video intercettazioni

Teste di capretto, minacce e pestaggi. Così i vecchi boss furono costretti alla fuga.

MAFIA-IL BLITZ
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3 min di lettura

PALERMO – Soffiavano venti di guerra a Monreale. Giovan Battista Ciulla, l’insospettabile fisioterapista arrestato nel marzo scorso con l’accusa di avere retto le sorti della famiglia, era entrato in contrasto con i boss di San Giuseppe Jato. Le microspie piazzate dai carabinieri del Comando provinciale e del Gruppo di Monreale hanno registrato la faida per il potere.

Ciulla veniva accusato di essersi appropriato dei soldi della cassa del mandamento, di non presentarsi alle riunioni e di avere avuto una relazione con la moglie di un detenuto, violando il codice d’onore dell’organizzazione. E così il 25 febbraio del 2015 in un capannone fu convocato un vertice in località Cozzo Pezzingoli, nella frazione di Poggio San Francesco, territorio di Monreale. C’erano Girolamo Spina, Vincenzo Simonetti e Ignazio Bruno per il mandamento di San Giuseppe Jato, Salvatore Lupo e Francesco Balsano per Monreale. Ed è proprio su Balsano, nipote del boss Giuseppe Balsano morto suicida in carcere, che sarebbe caduta la scelta per sostituire Ciulla. Lupo, che aveva capito di essere sotto osservazione dei carabinieri, sarebbe rimasto nelle retrovie. Il fisioterapista fiutò il pericolo e si diede alla fuga in un paesino in provincia di Udine.

Della compagine di Ciulla andava salvato solo Antonino Alamia. Contro tutti gli altri fu dichiarata guerra. A cominciare da Benedetto Isidoro Buongusto che, tornato in libertà nel 2014 dopo avere scontato otto anni per mafia, si era avvicinato a Ciulla. Da qui una lunga scia di terrore. Il 28 febbraio 2015 fu proprio Buongusto ad essere preso di mira. “La testa di capretto dove la possiamo prendere?”, chiedeva Balsano a Salvatore Lupo: “A Palermo a Ballarò”. La testa di animale fu abbandonata davanti alla porta di casa di Buongusto con una pallottola conficcata in testa e un biglietto: “Da questo momento non uscire più di dentro perché non sei autorizzato a niente”.

La sera del 3 sempre Lupo e Balsano alzarono il tiro. Avevano chiesto aiuto a Sergio Denaro Di Liberto, un picchiatore messo a disposizione dalla cosca di San Giuseppe Jato, per passare alle maniere forti. “Un messaggio mandagli e fai scendere a loro e capuliamo qua sopra”, scriveva Balsano. Iniziò una caccia all’uomo per le strade del paese: “Dove minchia sei… figlio di puttana… la mafia ora la facevano loro”, diceva Salvatore Lupo riferendosi alle mire di potere di Ciulla. Buongusto fu rintracciato e bastonato con una spranga di ferro in via Pietro Novelli. Illuminanti le parole di Di Liberto: “… tutto si è rotto… le bacchettate nei piedi gli davo… i piedi gli ho rotto”.

Il 6 marzo toccò a Onofrio Buzzetta, braccio destro di Ciulla, finire nel mirino. Balsano si avvicinò a lui mentre era in macchina: “Porta tutti i soldi che ti sei preso nei lavori”. Buzzetta: “Io sono pulito, ti giuro”. E Balsano mise le cose in chiaro: “Sono autorizzato ad ammazzarti pure ora… perché tu hai fatto le cose insieme a lui. Mi banno detto a me recupera gli scarrabili, prenditi i bagagli e vattene, perché dice ti danno tre giorni di tempo a partire …”.E mentre parlava “gli ho puntato la pistola in bocca a Nofrio” . Buzzetta cercò aiuto nei mafiosi di Corleone. Trovò protezione in Rosario Lo Bue, allora in libertà ma poi arrestato con l’accusa di essere il capomandamento nel paese di Riina e Provenzano.

Pesanti minacce subì anche Nicola Rinicella a cui Balsano diceva: “Ti è finita bene perché dall’altra parte mi avevano detto di spaccarti le gambe”. Ciulla e Buongusto capirono il messaggio e si defilarono. La calma durò poco. All’inizio del 2016 le microspie hanno captato il loro ritorno alle armi. Volevano spodestare Salvatore Lupo a cui Giovanni Pupella, incaricato di gestire lo spaccio di droga a Monreale, consigliava di partire all’attacco: “Totò loro devono buscarle, Totò, e basta… a loro non dobbiamo fare capire nulla… loro devono rimanere a piedi”. A piedi, anzi in carcere, ci sono finiti tutti.

 


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