I mille morti di Cosa nostra| Il buco nero delle lupare bianche - Live Sicilia

I mille morti di Cosa nostra| Il buco nero delle lupare bianche

Il cimitero trovato a Roccamena riaccende la speranza nei parenti di tante vittime.

PALERMO – Il telefono squilla. Dall’altro capo della cornetta ci sono una moglie o un figlio che non hanno smesso di sperare. Non di riabbracciare un parente scomparso nel nulla decenni fa, ma almeno di avere una tomba su cui deporre un fiore. La scena si è ripetuta una, due, tre volte in queste ore in cui a Roccamena si è scoperta l’esistenza di un cimitero.

C’è il sospetto che sia opera della mafia, ma è presto per avere certezze. In fondo a una caverna nelle campagne del paese in provincia di Palermo sono stati trovati cumuli di ossa, qualche brandello di vestiti e una scarpa, forse di donna. Apparterrebbero a sei, forse sette persone.

E allora il telefono degli avvocati squilla. I familiari delle vittime di lupara bianca sperano di carpire qualche dettaglio in più che né i pubblici ministeri di Palermo, né i carabinieri di Monreale al momento sono in grado di dare. Non è solo una questione di riserbo investigativo. La fase del recupero delle ossa sarà seguita dagli accertamenti scientifici. Ci vorrà tempo prima che gli esperti, compresi un archeologo e un antropologo, possano datare i resti umani ritrovati. Ci sono particolari che fanno, però, ipotizzare una datazione risalente a venti o trent’anni fa.

I familiari degli scomparsi hanno dovuto imparare a convivere con un’attesa che si è fatta infinita. A volte sono mogli che vivevano fianco a fianco dei mariti. Difficile credere che fossero e siano all’oscuro di tutto, ma non mancano i casi di donne alle quali era impedita ogni domanda. E poi ci sono i figli, troppo giovani quando si ritrovarono orfani per capirne il motivo.

Come ricorda lo storico Salvatore Lupo, Giovanni Falcone diceva di essersi occupato di mille omicidi, per la metà senza che si fossero mai trovati i cadaveri. Falcone parlava della prima e della seconda guerra di mafia, ma di lupara bianca si è continuato a morire nei decenni successivi. Uomini spariti all’improvviso senza più fare ritorno. Non solo uomini di mafia, ma anche piccoli criminali che hanno pagato con la vita uno sgarbo, oppure testimoni scomodi. O, ancora, gente rapita per chissà quale ragione. Altri che si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Il loro nome finisce nel frontespizio di un fascicolo con la scritta “scomparso”. A volte si può solo sperare che arrivi un pentito a strapparli all’oblio. È accaduto negli anni più recenti con Giovanni Bonanno e Bartolomeo Spatola di cui Gaspare Pulizzi ha fatto trovare i resti, seppelliti in un terreno a Villagrazia di Carini. Ma ci sono quelli di cui nulla si è più saputo, come i costruttori Antonio e Stefano Maiorana. Come Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto che sarebbero stati uccisi a colpi di martello e i corpi mai più ritrovati. Di loro qualcosa potrebbe sapere il neo pentito di Carini Nino Pipitone.

Di altri, invece, non si conoscerà mai il destino perché la mafia, che prima nascondeva i morti nei pilastri dei palazzi in costruzione, ha poi scoperto l’acido solforico per eliminare ogni traccia. Il macabro rito dello strangolamento e della distruzione dei corpi ha rappresentato l’esaltazione del metodo stesso della lupara bianca. Dei nemici doveva restare il nulla che disorienta e angoscia. Per sempre.

C’è chi si rassegna e deve misurarsi con la burocrazia. Per la dichiarazione di morte presunta occorre una sentenza del tribunale di Palermo. Solo la sentenza dà il via libera agli effetti civili della morte. Si muore non solo nel cuore e nella mente dei familiari, ma anche per l’ordinamento civile italiano. Ma c’è chi si precipita al telefono quando la cronaca racconta di un ossario, forse una foiba mafiosa, scoperta nelle campagne di un paesino in provincia di Palermo.

 

 


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