La storia infinita dei laboratori | Quando a governare sono i Tar - Live Sicilia

La storia infinita dei laboratori | Quando a governare sono i Tar

La vicenda dei convenzionati e l'incapacità di una politica nelle mani degli organi di controllo.

PALERMO – Dovete accorparvi, riunirvi, diventare più grossi. Ma entro – tassativamente – il 2012. Anzi, il 2014. Anzi, provate entro il 2016 o 2017. Poi, si vedrà. Perché in realtà, si vedrà. E la storia siciliana dei laboratori d’analisi è un gioco a rimpattino, al rinvio senza meta. Dove chi dovrebbe decidere, non decide. Perché a decidere ci pensa chi controlla.

Il Tar o – se si preferisce – il Cga. Specialità, quest’ultima, tutta siciliana. Mentre in Italia il secondo grado della giustizia amministrativa è rappresentato dal Consiglio di Stato. Ma alla fine, a pensarci bene, poco cambia. Perché il gioco è sempre lo stesso. Basta un ricorsino e tutto si ferma. Mentre nel frattempo scorrono governi e parlamenti, stagioni e mode.

Ma qui, nell’Isola dove niente si decide, quello scorrere altro non è che un gioco dell’oca. Che riporta quasi sempre al punto di partenza. Prendi, appunto, la storia degli accorpamenti dei laboratori d’analisi. Roma vuole che i più piccoli si riuniscano, si “consorzino”, al fine di evitare la dispersione, per “razionalizzare” i costi in questa Sanità fatta ormai dai ragionieri.

Eppure quest’obbligo non è mai diventata una decisione. Il motivo? Il ricorso, appunto. L’avvocato che trova il cavillo. E soprattutto una politica e una burocrazia incapace di imporre (o quantomeno anteporre) la propria competenza, la propria preparazione.

Si fa, quasi sempre male, ciò che un governo dovrebbe fare (ossia governare, guidare i processi). A quel punto ci si siede in attesa dell’inevitabile causa. Che fermerà tutto. Per un motivo o per un altro, dicevamo.

Prendi, appunto, i benedetti laboratori. Dovevano unirsi già nel 2012. Lo aveva imposto, col piglio del “decisionista” l’allora assessore alla Salute. Si sono uniti? Macché. È arrivato il ricorso. Ed è arrivato lo stop. Il motivo? Russo aveva dato troppo poco tempo alle strutture per riorganizzarsi. E per di più, ha pubblicato il decreto quando già il governatore Lombardo era dimissionario: avrebbe dovuto limitarsi all’ordinaria amministrazione.

Capirai, può succedere. Basta far tesoro degli errori. E così, ecco che a riprovarci è stata Lucia Borsellino. Ha solo spostato più in là il limite temporale per gli accorpamenti: fine 2015 il primo step, fine 2016 il secondo. Come è andata? Beh, il Tar ha deciso che non andava bene nemmeno quel decreto. Avrebbe creato, oggettivamente, delle condizioni di oligopolio. E quindi, tutto sospeso, tutto fermo.

“Faremo tesoro degli errori” dice oggi l’assessorato guidato da Baldo Gucciardi. Siamo al terzo tentativo. Sono passati quattro anni dal primo firmato da Russo, persino sette dall’approvazione della norma nazionale da cui discende tutto. E adesso, ecco incombere i nuovi ricorsi. Dal risultato già prevedibile, visto i precedenti: il giudice scorgerà il “fumus boni iuris”, il “pericoli M in mora”, insomma, che qualcosa bisognerà pur rivedere. Ed ecco la inevitabile sospensiva, che farà seguito a un ricorso che già qualcuno del settore ha promesso.

Se ne riparlerà, nel merito, magari tra due, tre anni. Quando si festeggerà il primo “settennato” dei tentativi a vuoto. Dei buchi nell’acqua di questi governi che non decidono. Perché basta restare lì, sul terreno complesso dei laboratori d’analisi per accorgersi che quel destino di inconcludenza appare inevitabile. L’introduzione del decreto Balduzzi sulle tariffe è ormai un caso di scuola. Fatto di ricorsi in Sicilia e nello stesso tempo al Tar del Lazio contro l’introduzione del decreto Bindi. Poi, ecco i ricorsi contro la richiesta del governo regionale ai laboratori di restituire le somme incassate col tariffario più ragionevole. Il risultato? Siamo ancora fermi. Non c’è una verità. È tutto in sospeso.

E del resto, che decidano i giudici ormai in molti anfratti della pubblica amministrazione siciliana e non, è un dato supportato da fatti che non sono per nulla isolati. Per restare nel campo della Sanità, ad esempio, ecco la storia paradossale dei Tar di Palermo e Catania che decisono in maniera opposta (si possono fare, non si possono fare) nei confronti dei concorsi che proprio Russo decise di far svolgere nelle due fette dell’Isola.

E ancora, ti sposti dalla Sanità in un altro campo dove è rigogliosa la vegetazione dei ricorsi, cioè quello della Formazione, e ti rendi conto che davvero i governi regionali finora non hanno potuto decidere un bel niente. Per un anno, ad esempio, il settore è rimasto fermo a causa del fatto che un decreto non fosse stato firmato dal presidente della Regione (come prevedono i regolamenti) ma “solo” dall’assessore Scilabra. E così accreditamenti degli enti fermi e settore in stallo. Quando il problema viene risolto, ecco un altro ricorso che blocca l’Avviso per i corsi di formazione: c’era un problema con i requisiti individuati dal governo. Un governo che si sarà opposto al Tar, direte voi. Nemmeno per sogno: ha ritirato e riscritto il decreto: “Che si rischia di perdere i fondi europei”. E così tutto è stato riscritto da riscrivere. Altri mesi di “nulla” ossia gente a casa senza lavoro e corsi fermi. Adesso il bando c’è. E anche la promessa di nuovi ricorsi. Ovviamente.

E ci fermiamo qui. Perché se dovessimo seguire ad esempio la classificazione proposta da Stefano Cingolani che sul Foglio elenca tutti gli altri organismi di controllo (Corte dei conti, Autority varie, Consulta) o se solo dovessimo aggiungere quanto fatto negli anni scorsi dal commissario dello Stato e oggi da Palazzo Chigi sulle leggi regionali, c’è da perdersi, come nei labirinti kafkiani o persino in quelli di Borges, dove non si coglie più la differenza tra la finzione e la realtà. Così come è difficile scorgere la cesura, in Sicilia, tra chi decide e chi controlla. Chi verifica e chi governa.


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