"Non sono stato io, ho l'artrosi"| I nonnini e le molotov dell'odio - Live Sicilia

“Non sono stato io, ho l’artrosi”| I nonnini e le molotov dell’odio

Sono due uomini alla soglia degli 80 anni i protagonisti del tentato omicidio di Ciaculli, a Palermo.

PALERMO “Non sono stato io. Non potevo lanciare la molotov, ho l’artrosi”, spiega Benedetto Fici al giudice nel tentato di scrollarsi di dosso un’accusa pesantissima. Eppure fino a qualche fa l’artrosi non gli ha impedito di imbracciare uno dei suoi cinque pesanti fucili e di coltivare la sua grande passione, la caccia. Unico svago in una vita, fino a poche ore fa, da tranquilli pensionati alle prese, nel caso di Fici, anche con la gestione di alcuni terreni della moglie, sorella di un condannato per mafia, Nicolò Greco.

È uno dei passaggi dell’interrogatorio dell’uomo accusato per il raid di Ciaculli. Il giudice per le indagini preliminari Fabrizio Anfuso non ha convalidato il fermo perché non ha ritenuto che sussistesse il pericolo di fuga (lo hanno arrestato a casa, ndr), ma ha stabilito che l’uomo deve restare in carcere. Stessa cosa per il suo presunto complice, Antonino Faraone.

Lucidi e spietati, così li definiscono gli investigatori. Cosa abbia scatenato la follia omicida resta ancora da chiarire. Di certo, sulla base delle indagini della Squadra mobile, c’è che due anziani di 77 e 78 anni si sarebbero trasformati in assassini. Se il loro presunto piano di morte fosse stato portato a termine sarebbe stato molto più complicato individuare in Fici e Faraone gli autori del raid di Ciaculli contro due giovani. Giovani che, però, sono sopravvissuti. Quando sono stati in grado di parlare con i poliziotti hanno riconosciuto i due anziani.

I due fidanzati, Umberto Vittorio Geraci, 22 anni, ed Ernesta Jessica Modica, di 23, si trovavano nel casolare di Ciaculli. Geraci vi si era trasferito dopo avere deciso di allontanarsi da casa per via dei dissidi con i familiari. Una presenza che avrebbe provocato le proteste di alcuni residenti della zona, fra i quali lo stesso Faraone e Fici. Erano nate delle discussioni, anche accese. Fino al drammatico epilogo.

I due ragazzi hanno raccontato di avere visto due anziani fare un sopralluogo per poi tornare con le bombe molotov. Li hanno sentiti dire: “Si chiuieru sti iecca sangu”. (sono rimasti intrappolati.. ndr). Poi, il lancio delle bottiglie incendiarie che, probabilmente, erano state imbottite di pallini di piombo. Segno che, secondo i poliziotti coordinati dal capo della Mobile Rodolfo Ruperti, il loro sarebbe stato un piano curato nei minimi dettagli.

Fici è stato riconosciuto subito dal giovane, che è ancora in pericolo di vita. Era “il giardiniere” con cui si era ripetutamente scontrato. Restava da capire chi fosse l’uomo che lo accompagnava. Le indagini sono partite dalla Fiat Panda a bordo della quale i due anziani si erano allontanati. Si tratta dello stesso modello di auto intestata alla moglie di Faraone. Infine, sono emersi dei ripetuti contatti telefonici con Fici. E così il pubblico ministero Pierangelo Padova ha disposto che la sua fotografia venisse inserita in un album assieme ad effigi da sottoporre alle vittime. Che hanno subito puntato il dito contro Faraone. Ed è scattato il secondo fermo.

“Volevano ammazzarli”, dicono gli investigatori senza dubbio alcuno. Prima che i due anziani finissero agli arresti c’era la paura che chi aveva fallito il tentativo di ucciderli volesse portare a termine il piano. Ecco perché la stanza dell’ospedale che ospita i due giovani è stata ed è tuttora piantonata dagli agenti.

 


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