"Caro Ainis, questa riforma |seppellisce lo Statuto" - Live Sicilia

“Caro Ainis, questa riforma |seppellisce lo Statuto”

L'esponente indipendentista Costa: ecco perché dico No alla riforma costituzionale.

L'intervento
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6 min di lettura

Apprendo da Live Sicilia che secondo il noto costituzionalista Ainis la modifica costituzionale voluta da Renzi sarebbe addirittura una “blindatura” degli Statuti speciali.

Secondo il professore, quindi, gli “autonomisti” (e presumo anche gli “indipendentisti”, in attesa di meglio), dovrebbero sostenere il SI, visto che la natura “pattizia” dello Statuto, da sempre invocata, finalmente troverebbe solenne riconoscimento in questa nuova Costituzione.

Ebbene, caro professore, immagino che la sua sia una semplice provocazione, ma – poiché c’è chi potrebbe prenderla sul serio – corre l’obbligo di confutarla radicalmente.

La nuova Costituzione non solo non difende affatto lo Statuto siciliano, ma anzi, semmai, lo seppellisce definitivamente, senza che ancora – aggiungo – in 70 anni si sia almeno potuto tentare di attuarlo per vedere se le catene coloniali che avvincono la Sicilia, ormai da un paio di secoli, si possano allentare se non proprio spezzare. Non lo sapremo mai, almeno se vince il SI. Se vince il NO non cambia certo nulla, ma almeno la speranza sopravvive.

Ma andiamo con ordine.

Il professore fa riferimento al comma 13 dell’art. 39 che fa salvi gli Statuti speciali vigenti fino a modifica “sulla base di intese”. Il ragionamento che fa è questo, dunque: se una Regione a statuto speciale non vuole, può non siglare l’intesa, e quindi blindare per l’eternità il proprio Statuto.

Caro professore, questa norma, Lei non può non saperlo, tutela certamente le altre 4 regioni a statuto speciale, che hanno uno Statuto ad oggi vigente e riconosciuto da tutti, Corte Costituzionale inclusa soprattutto. Non so se le tutela fino in fondo, ma francamente oggi della Provincia Autonoma di Bolzano m’importa poco.

La Sicilia è in una posizione radicalmente diversa. Un professore così esperto come Lei non può non saperlo.

La Sicilia, infatti, per unanime giurisprudenza costituzionale, non ha uno Statuto che prevalga come legge speciale sulla Costituzione.

La Legge Costituzionale che ha recepito il nostro Statuto, la n. 2 del 1948, “inghiottiva sano” – per così dire – lo Statuto di due anni prima e lo inseriva di peso nella Costituzione, ma poi ne demandava la revisione per il “coordinamento con la Costituzione” nientemeno che a legge ordinaria. Questa norma avrebbe consentito allo Stato di scardinare facilmente lo Statuto appena concesso, cassando da esso tutte le norme “scomode”. I Siciliani di allora insorsero e si appellarono al foro competente (secondo me ancor oggi competente): l’Alta Corte per la Regione Siciliana. L’Alta Corte, con sentenza n. 4 del 1949, dichiarò quel comma incostituzionale, come Ella ben sa, e dichiarò che l’ordinamento statutario siciliano era ormai vigente, e che si sarebbe potuto modificare ormai soltanto per mezzo di legge costituzionale. Eh già, l’Alta Corte, dentro la quale c’erano “leoni”, quali Gaspare Ambrosini, Andrea Finocchiaro Aprile, Luigi Sturzo. Con tutto il rispetto per i costituzionalisti siciliani di oggi…

Sembrò allora una vittoria per la Sicilia. Ma quando, solo qualche anno dopo, con un vero e proprio “colpo di mano” l’Alta Corte fu soppressa (1957) senza neanche una riforma costituzionale, l’atteggiamento cambiò. Secondo la nuova giurisprudenza, infatti, quel “coordinamento” resterebbe comunque indispensabile per poter dare attuazione allo Statuto, che – nel frattempo – non prevale sulla Costituzione. Peccato, però, che quel “coordinamento” non ci sarebbe stato mai più, e sarebbe stato surrogato dalle sentenze abrogative della Corte Costituzionale.

Riepiloghiamo: secondo la Corte Costituzionale (e quindi secondo lo Stato), nello Statuto ci può essere scritta qualunque cosa, ma questa non ha valore se non è suffragata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale. In pratica… la Sicilia non ha più da allora (1957) alcuno Statuto speciale degno di questo nome. Con la giurisprudenza “maligna” della Corte Costituzionale sono stati aboliti uno dopo l’altro, infatti, tutti gli istituti che caratterizzavano quell’Autonomia. Che cosa difenderemmo dunque oggi?

Per prima cosa fu abolita proprio l’Alta Corte. Poi, pezzo a pezzo, praticamente tutto. La potestà esclusiva è stata castrata dalle “grandi leggi di riforma nazionale”. Quella di manovrare i tributi propri è stata azzerata disponendo che le leggi tributarie statali si applicano comunque dappertutto. Il Fondo di Solidarietà Nazionale è stato annientato nel lontano 1987. L’art. 41 è schiacciato dal 119 della Costituzione. Il 40 dalle norme europee. Del 31 o del 39 non se ne parla, e così via. Da ultimo persino il Commissario dello Stato è stato sostanzialmente abolito, lasciando totalmente la Regione alla mercé dello Stato.

Suvvia, professore, cosa rimane oggi di quello Statuto? Ce lo dica chiaramente, ex professo.

Nulla, glielo dico io; anzi no, solo due cose, negative entrambe. Una è che lo Stato ha accollato alla Regione, e ai tributi dei Siciliani, la maggior parte delle funzioni che altrove svolge direttamente. In modo tale che i dipendenti regionali figurino qui più che altrove. E poi gli “orpelli” formali: i “deputati”, l’“assemblea”, la “gazzetta ufficiale”, e così via. Orpelli che avrebbero senso se dietro ci fosse la sostanza, ma che in questo modo sono soltanto un’amara beffa.

E lo vediamo nei fatti che l’Autonomia non c’è più da tempo. L’Assessore-commissario nominato da Roma, gli accordi-capestro estorti, i mutui a tassi usurai imposti, in una parola la dignità di cittadini negata ogni giorno.

Ma di quale revisione pattizia parla il nostro illustre docente? Che dobbiamo rivedere o difendere oggi? Quello che non c’è più, che non c’è mai stato? Oggi la Sicilia è regione ad autonomia differenziata, sì, ma “al contrario”, cioè nel senso che è “meno autonoma” della Calabria.

E vengo al dunque, professore, e le spiego perché invece i Siciliani oggi devono votare NO. In tre punti.

Primo: La “riforma” attribuisce al Governo potere di destituzione del Presidente della Regione che incorra in “dissesto finanziario”. Dissesto finanziario che si può facilmente indurre, basta chiudere i cordoni della borsa. Questo significa che da domani la Regione avrà un coltello piantato nel sedere da Roma. Guai a chi prova a muoversi.

Secondo: La “clausola di supremazia”, consente, con semplice voto ordinario della Camera, di riportare a Roma qualunque competenza regionale. Non importa quello che ci scriviamo nel nuovo statuto “pattizio”. Se al Governo “sconfinfera”, fa un disegno di legge, lo sottopone ad una Camera-tappetino, e Roma si riporta a casa competenze e risorse, sol che usi la frase magica: “è in gioco l’interesse nazionale”.

Terzo: I Siciliani, nonostante tutto, se domani portano in Senato un partito regionale con 10 senatori disposti a tutto, forse possono ancora riesumare lo Statuto, dargli attuazione, e – perché no – portare a casa spazi sempre più ampi di autonomia fino alla completa indipendenza, come stanno facendo i Catalani o gli Scozzesi. Se invece passa questa legge costituzionale, il Senato sarà “carta da parati”. Non vota la fiducia, non vota le finanziarie. Chi dobbiamo far spaventare a quel punto? Nessuno. Alla Camera non avremo diritto di tribuna, se non costituendo un partito che in Sicilia prenda il 40 %. E, anche in questo caso, ininfluente per le maggioranze visto il fantastico premio di maggioranza che sarà comunque garantito al primo partito o schieramento.

In altre parole, caro professore, se vince il SI ai Siciliani sarà stato tolto praticamente il diritto di voto, e con esso ogni speranza di riscatto pacifico. Se vince il NO siamo al punto di partenza – lo sappiamo – ma almeno abbiamo la speranza di usare finalmente il voto per difenderci.


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