PALERMO – “Il figlio è mio”, ammette nel corso dell’interrogatorio il patron di Ksm, Rosario Basile. Un figlio nato dalla relazione con una sua ex dipendente che, secondo l’accusa, avrebbe cercato prima di non fare nascere e poi di non riconoscere.
Secondo l’accusa, quando fu chiaro non solo che la donna non avrebbe abortito, ma che il figlio che portava in grembo era di Basile (una consulenza sul Dna, allegata al processo civile per il riconoscimento della paternità, parlava di compatibilità al 99,9 per cento) sarebbe scattata la ritorsione dell’imprenditore.
Infine, prima che Basile venisse raggiunto dalla prima ordinanza di custodia cautelare, aveva prestato il consenso per sottoporsi al test genetico. Ora, quando si attendeva ormai la decisione finale del giudice civile, l’avvocato Basile conferma davanti al Gip Filippo Serio che il figlio è suo. Si assumerà le proprie responsabilità, ma respinge ancora una volta l’accusa di avere ordito un piano contro la donna.
I dubbi sulla paternità, considerata la sua età – e lo ha ribadito al giudice – erano legittimi. Sui tabulati che Basile avrebbe falsificato per difendersi – si tratta della nuova accusa che gli è piovuta addosso due giorni fa – l’imprenditore ha tagliato corto: ”Non ne so nulla”. I tabulati furono consegnati dai vertici di Ksm – sotto inchiesta per falso e frode processuale ci sono pure il figlio di Basile, Filippo, e l’ex legale rappresentante Luigi Galvagno – al giudice del Lavoro per chiedere il licenziamento della donna e di un altro dipendente, accusati di avere tradito gli accordi aziendali. Ciò che Basile, accompagnato dagli avvocati Nino Caleca, Antonio Ingroia, Francesca Russo e Roberto Mangano, continua a ribadire con forza è che la vicenda per cui è stato allontanato da Palermo resta una questione privata che nulla ha a che vedere con la Ksm.
