Appalti, riciclaggio, droga e armi |Gli affari dei clan fuori da Catania - Live Sicilia

Appalti, riciclaggio, droga e armi |Gli affari dei clan fuori da Catania

Nord Italia, Roma, ma anche isola di Malta e Olanda. Cosa nostra catanese è riuscita a costuirsi un mercato criminale anche lontano dalle terre vulcaniche dell'Etna.

 

CATANIA – Cosa nostra catanese emigra e cerca nuovi spazi per accrescere potere e soldi. Le cosche catanesi hanno costruito diversi ponti criminali e dove hanno trovato terreno fertile hanno creato cellule mafiose operative. L’inchiesta dei carabinieri di Roma che ha disarticolato un gruppo legato ai Mazzei di Catania porta a interrogarsi sul modo di agire dei clan catanesi fuori dai confini siciliani e in quali zone siano state create centrali del crimine organizzato etneo.

Francesco Loria è il nome del latitante catanese che aveva stabilito il suo covo a sud di Roma. E’ lui uno dei catanesi coinvolti nell’operazione della Dda romana che ha disarticolato un gruppo criminale dedito alle estorsioni e legato ai Carcagnusi di Catania.

Ma non solo i Mazzei ad aver creato “cellule criminali” in altre regioni d’Italia. Dall’ultima relazione della Dia emergono diverse ramificazioni e infiltrazioni dei Santapaola-Ercolano. La famiglia “egemone” di cosa nostra catanese. Il principale interesse delle consorterie mafiose che operano nella capitale e nel basso Lazio “è il reimpiego dei capitali illeciti”. Gli agglomerati criminali presenti nella regione sono collegati “ad esponenti delle famiglie mafiose di Catania come Cannizzaro, Ercolano, Corallo e Privitera”. “L’operazione Gea – scrive ancora la Dia – ha disvelato la gestione monopolistica operata dai Casalesi, assieme a Cosa nostra catanese, negli approvvigionamenti di prodotti ortofrutticoli e nell’imposizione dei connessi servizi di trasporto da e per i maggiori mercati del centro e sud Italia”.

“Il modus operandi di Cosa nostra fuori dall’area di origine – scrive la Dia – oscilla tra condotte predatorie e l’affarismo cui ricorre per infiltrare la locale l’attività-economica”. I settori di interesse – sempre secondo il rapporto della Direzione Investigativa Antimafia – sono quelli della ristorazione, del trasporto merci, del movimento terra, “nell’intento di intercettare fondi pubblici e privati e reimpiegare risorse di provenienza illecita”. E’ una criminalità manageriale, dunque, che opera in zone come quella di Torino e Milano. Un dato è inquietante. “Non sono mancate – scrivono gli investigatori della Dia – forme di infiltrazioni in società con sede legale in Piemonte che hanno tentato di accreditarsi per i lavori di ammodernamento della metropolitana di Milano”. La prefettura di Milano nel luglio del 2015 ha emesso un provvedimento interdittivo nei confronti della società interessata a realizzare la metro, che secondo gli accertamenti incrociati tra Dia Catania, Torino e Milano, sarebbe riconducibile ai Santapaola. In particolare “le verifiche antimafia hanno evidenziato – si legge nella relazione – legami di parentela tra i soci dell’azienda e il boss capofamiglia” Nitto Santapaola e hanno rilevato “delle cointeressenze affaristiche con un’altra società riconducibile agli Ercolano e ai Cammisa”. Per la Dia la criminalità organizzata nel Nord Italia opera attraverso la strategia della “silente infiltrazione”.

Sono i carabinieri di Catania, con l’operazione En Plein che riassetta le fila alla guerra di mafia tra i Santapaola e i Laudani di Paternò, ad aprire nella primavera dello scorso anno lo squarcio su una possibile base criminale a Brescia. Giovanni Pietro Scalisi, referente dei Mussi i Ficurinia, è rintracciato sul lago di Iseo. Per lui è arrivata, in primo grado, una condanna comminata dal Gup di Catania.

In Emilia Romagna è la droga il “miele” della mafia catanese. A Ravenna si sarebbero insediati (si legge nella relazione della Dia) i Nicotra di Misterbianco. Gli “eredi” di Mario U Tuppu “scappati” dopo la faida con il boss dei Malpassotu Pippo Pulvirenti.

Torniamo a Roma, crocevia di potere per gli affari illeciti legati all’immigrazione e all’accoglienza. La capitale sarebbe però anche un punto di snodo del traffico di stupefacente verso Catania. Diverse inchieste localizzano Roma come la “piazza” dove si pianificano le strategie criminali per organizzare il traffico di droga alle falde dell’Etna. Nell’operazione Bitter Fruit – del 2014 – gli investigatori catanesi ricostruirono una rete che collegava Roma – Calabria – Catania. I soggetti coinvolti non erano organici ma gravitavano attorno alla cosca Cappello-Bonaccorsi. La droga sarebbe anche l’oggetto di veri e propri “partenariati” con altri esponenti criminali anche stranieri. L’operazione Odissea – citata nell’ultimo rapporto semestrale della Dia – ha disvelato un’organizzazione criminale con due centri operativi, uno nel Lazio, e uno tra Ragusa e Catania, per il traffico di marijuana. Droga che sarebbe servita a rifornire “il gruppo della stazione” di Catania (frangia interna agli Ercolano) e ad un’organizzazione legata ai Pillera, altra organizzazione mafiosa catanese. I rapporti tra mafia catanese e fornitori albanesi è al centro anche di un importante lavoro dei carabinieri di Catania che negli ultimi anni hanno smantellato il potere criminale dei Nizza, monopolisti del traffico di droga nella città dell’elefante. Le rotte della droga, poi, portano ad accordi tra i clan catanesi e la camorra campana e anche le ‘ndrine calabresi. Queste soprattutto per l’approvvigionamento della cocaina. E in questo ambito le indagini portano il mirino degli investigatori fino alla Spagna e al Sud America.

E fuori dai confini dello stivale, il “lezzo” di cosa nostra catanese avrebbe toccato anche l’Olanda e l’isola di Malta. Sono i carabinieri a travalicare “le dogane”: il braccio della giustizia catanese arriva nella terra dei tulipani con la maxi retata i Vicerè che azzera cupola e gruppi operativi della famiglia mafiosa dei Laudani. In Olanda i carabinieri arrestano Antonio Privitera, mentre il fratello è indagato a piede libero. Più inquietante il ponte criminale con Malta: questa volta i carabinieri indagano su un traffico di armi che vede l’isola del Mediterraneo luogo strategico di scambio tra i fornitori catanesi, in particolare uno specialista della famiglia dei Ceusi di Picanello, e organizzazioni transnazionali criminali del Nord Africa.

 


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