"La verità sul pistacchio di Bronte" |Parla Luca, amministratore Bacco - Live Sicilia

“La verità sul pistacchio di Bronte” |Parla Luca, amministratore Bacco

Il noto imprenditore brontese interviene dopo il nostro servizio (LINK) sull'inchiesta di Report, il programma di Milena Gabanelli. Vuole spiegare come funziona il sistema di produzione del pistacchio alle falde dell'Etna.

BRONTE (CT). Una vicenda paradossale si nasconde dietro la coltivazione del pistacchio di Bronte. Apprezzato e conosciuto in tutto il mondo. “Ben il 70% della produzione non è certificato perché gran parte dei fornitori sono piccoli produttori a conduzione familiare, e non hanno interesse ad ottenerla perché, essendo una attività portata avanti per tradizione familiare, ne avrebbero solo un aggravio burocratico e di costi. Ma ben 8 enti curano i controlli e attestano la salubrità di un prodotto che non è mai stata messo in discussione”. A parlare è Claudio Luca, amministratore della Bacco, una delle icone della produzione di pistacchio, citato da Report, la trasmissione di Milena Gabanelli.

Come viene coltivato il pistacchio a Bronte?

“Nella maggior parte dei casi si tratta di micro appezzamenti, le persone fanno altri lavori, non ci sono grossi produttori”.

Dove nasce l’inghippo?

“L’inghippo è che ad essere certificato Dop non è il territorio che va da Adrano fino a sopra Bronte, ma l’imprenditore, il piccolo produttore che decide di aprire una partita Iva e ha un terreno. Il 70% della produzione, pertanto, non è certificato, perché la DOP comporta un aggravio di costi burocratici – come dicevo prima – del tutto non vantaggiosi per i piccoli produttori per passione o tradizione, che sono la maggioranza”.

Sembra una situazione paradossale…

“E’ una situazione paradossale. In pratica per il 70%, cioè il grosso della produzione, non possiamo scrivere che è pistacchio di Bronte. Organoletticamente è tutto uguale il pistacchio. Chi storicamente da decenni è abituato a portare il pistacchio al commerciante, molte volte non ha interesse ad essere certificato. Molti producono 500 -1.000 chili, oppure 2.000 – 3.000, lo fanno per lascito storico e famigliare. A Bronte non c’è famiglia che non produca pistacchio.

Ma il commercio avviene in nero?

No, assolutamente. I coltivatori, fino a 7500 euro, possono fare una autofattura. Una ricevuta in cui si dichiara la zona di produzione. Tutti i pagamenti sono tracciabili. Non si può pagare in contanti.

Come si fa ad essere certi che è il pistacchio prodotto a Bronte proviene da Bronte?

Il 30% certificato Dop ha una dicitura, ovvero “Pistacchio verde di Bronte Dop” con il logo dell’Etna, Bronte e Adrano. Sul pistacchio convenzionale, cioé quello di Bronte non certificato, non puoi scrivere pistacchio di Bronte anche se è pistacchio di Bronte. Puoi scrivere solo “Pistacchio Sicilia”. Il luogo della produzione è attestato e tracciato al momento della vendita. Un sistema sicuro al 100%. Noi trasformatori da tanti anni chiediamo che venga indicata l’origine del pistacchio, che può essere Bronte, Raffadali, Basilicata, è un frutto della natura, ma questo non ci è permesso.

In che senso?

Nel senso che non siamo tenuti a indicare l’origine del pistacchio. L’unica cosa che abbiamo fatto, essendo produttori del luogo, è dire “fatto a Bronte”, “fatto in Sicilia”, come un mero discorso di etichettatura. Nessuno mai in dieci anni di azienda ha contestato la salubrità e l’origine del prodotto. Noi prima di mettere sul mercato un prodotto, un’etichetta, chiediamo agli organi competenti – in primis il ministero delle politiche agricole – il consenso alla etichettatura e alla commercializzazione.

E il Consorzio?

La certificazione viene data al singolo produttore che si apre la partita Iva, e come ho detto prima il 70% dei piccoli produttori non lo fa; non al territorio. Il nostro Consorzio, che è in attesa del riconoscimento del ministero, è sicuramente importante e può fare tanto.

Cioè è abusivo?

No, assolutamente. La domanda di riconoscimento è in fase di discussione al ministero, così come la determinazione dei valori di clorofilla del nostro pistacchio per cui è stata richiesta la rettifica del disciplinare. Aspettiamo l’evoluzione.

Come si risolvono i problemi burocratici che state vivendo in questo momento?

Si risolvono nella maniera più semplice. Noi oggi col pistacchio di Bronte non possiamo scrivere “pistacchio di Bronte”, quindi restiamo generici come “pistacchio Sicilia”.

La domanda che tutti si pongono è: come possiamo essere sicuri?

I controlli sulle aziende sono fortissimi. Noi abbiamo otto enti di controllo, Nas, Guardia di Finanza, repressione Frodi, Forestale, sanitari, ispettori del ministero, Vigili del fuoco, Ispettorato del lavoro. Sulla salubrità del prodotto non ci sono dubbi. E’ garantita da otto enti di controllo, per tutte le aziende. Il prodotto che si fa a Bronte in queste aziende è il più sicuro e il più tutelato che ci possa essere. Tra l’altro Bronte è un piccolo paese dove ancora l’agricoltura è un elemento fondamentale di retaggio storico, è riconosciuto a livello mondiale come migliore prodotto. Tutto questo clamore, questo parlare per sentito dire, onestamente non ha motivo di essere. È giustissimo, e ben vengano, che si facciano i controlli, ma nessuno ha mai contestato la salubrità del nostro pistacchio. E, per quello che mi riguarda, nessuno ha mai contestato provenienza e salubrità del pistacchio usato da Bacco.

Che ruolo ha la politica?

In campagna non ci va la politica.

Potrebbe fare qualcosa in più?

Il problema in Sicilia è che non riusciamo a fare sistema. Quindi finchè il pistacchio una volta veniva mandato in Francia e Germania poteva andare bene. Oggi che a Bronte c’è un comparto fondato sull’agricoltura non riusciamo a essere coesi o a tutelare il prodotto che tutti ci invidiano.

 

 


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