"Si alzò e lasciò la riunione"| Il pentito: "Mulè doveva morire" - Live Sicilia

“Si alzò e lasciò la riunione”| Il pentito: “Mulè doveva morire”

Il pentito Giuseppe Tantillo

Giuseppe Tantillo, collaboratore di giustizia del Borgo Vecchio, racconta i retroscena di un summit

PALERMO – Tommaso Lo Presti dal carcere era stato categorico. Almeno così racconta Giuseppe Tantillo, pentito del Borgo Vecchio. Il reggente del mandamento di Porta Nuova aveva incaricato il suo successore, Paolo Calcagno, di “mettere fuori famiglia Salvò Mulè” (considerato l’uomo forte a Ballarò fino al suo arresto avvenuto lo scorso dicembre) perché si “era montato la testa”.

Tantillo, in uno dei suoi interrogatori, si è presentato davanti ai pubblici ministeri Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco con alcuni fogli manoscritti. Ha raccontato che “i primi di settembre del 2014 c’è stata una riunione a casa di un parente di Paolo Lo Iacono. Erano presenti Ruggeri, Mulè, Lo Iacono Paolo, Paolo Calcagno, Ludovico Scurato, Rocco Marsalone, un ragazzo con i capelli brizzolati, Salvo David, io e mio fratello Domenico”. Sono stati tutti arrestati nel blitz dei carabinieri dello scorso dicembre.

Si discusse di affari: “Mulè e Lo Iacono Paolo proposero di occuparsi loro del traffico di stupefacenti al posto di Alessandro Bronte così guadagnavano in più che avevano carcerati da mantenere. Calcagno rispose che non era possibile perché così aveva deciso Tommaso Lo Presti”. Mulè non la prese bene, visto che “disse che aveva un impegno e abbandonò la riunione”.

“Dopo due settimane – prosegue il collaboratore di giustizia – Calcagno ci riferì che Mulè era stato chiamato dalla polizia che doveva essere ucciso”. La verità è che soffiavano venti di guerra su Ballarò. La sera del 16 ottobre 2014, quindici minuti dopo le venti, giunse una telefonata al 113. La chiamata partiva da una cabina di via Armando Diaz, a Brancaccio. “… domani mattina devono ammazzare Salvo Mulè del Ballarò…”, diceva una voce maschile. Mulè, che sarebbe stato arrestato nel dicembre scorso, forte della parentela con Massimo Mulè, di cui è fratello e che presto sarebbe stato scarcerato, aveva creduto di gestire in autonomia lo spaccio a Ballarò.

La gestione Mulè-Bronte aveva creato malumori e inimicizie. E così il primo rischiò di essere ammazzato, mentre il secondo fu pestato a sangue, nonostante fosse uno degli uomini più fidati di Teresa Marino, la moglie di Tommaso Lo Presti. La situazione era sfuggita di mano agli stessi capi.

 


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