D'Alema tira la volata del No |"E' Renzi il capo della casta" - Live Sicilia

D’Alema tira la volata del No |”E’ Renzi il capo della casta”

E’ un Massimo D’Alema in grande spolvero quello che gioca le ultime ore della partita referendaria. Ma il Sì di Prodi è una doccia fredda non calcolata.

VERSO IL REFERENDUM
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CATANIA – E’ un Massimo D’Alema in grande spolvero quello che gioca le ultime ore della partita referendaria. L’ex premier sbarca in Sicilia dove ad attenderlo ci sono i deputati Pippo Zappulla e Angelo Capodicasa, dioscuri dell’ortodossia della vecchia guardia nei rispettivi feudi di Siracusa e Agrigento. Il tour di D’Alema, però, parte da Catania. L’occasione è un’iniziativa sull’Europa, organizzata dall’associazione universitaria Koinè, ma a tenere banco è il referendum. Il Lìder Maximo, assiepato dai cronisti, risponde all’ultima invettiva di Matteo Renzi. “Il premier dice che se vince il No, vince la casta? E’ lui il capo della casta”. “Io non faccio parte di una casta da diverso tempo, presiedo solo una fondazione culturale; voglio fare una campagna da cittadino contro una riforma che ritengo dannosa per l’Italia”, dice D’Alema. Affilate le armi, l’ex premier è pronto a dare battaglia sul referendum. Accanto a sé c’è il fidato Capodicasa che ci tiene a sottolineare di non avere votato la proposta di riforma nemmeno in parlamento. La sfida di “baffino” va ben oltre il 4 dicembre. Dalle ragioni del No al modus operandi del governo, passando per l’idea di partito, D’Alema traccia una rotta chiara. In direzione ostinata e contraria rispetto a quella dell’antagonista fiorentino.

L’ex premier boccia senza appello la legge elettorale, “ispirata al Porcellum, una versione più moderna e dinamica con lo stesso impianto e l’aggravante del ballottaggio” e rivendica i collegi uninominali.  “Il parlamentare che vince nel proprio collegio deve rendere conto ai suoi elettori ed è più forte di quello infilato capolista dal segretario del partito”, spiega rivendicando il fatto di essere uno dei pochi “ad essersi sempre presentato nello stesso collegio elettorale mentre “altri hanno vagato”. D’Alema cita Alfano per portare acqua al proprio mulino: Renzi ha realizzato il programma di Berlusconi. Poi ci mette del suo: “Abolizione dell’Imu per i più ricchi, cancellazione della tutela sui licenziamenti iniqui , legge elettorale e ponte di Messina: se Berlusconi va alla Siae Renzi è rovinato”. Le sferzate verbali di D’Alema fanno male, ma sono sicuramente più benevole delle smorfie e dei sorrisi accennati quando parla dell’impianto della riforma o dei profeti della rottamazione.

Sul banco degli imputati c’è “il partito leggero, una macchina di comunicazione e consenso in cui i militanti sono un peso”. Da qui parte una dura invettiva sui tesseramenti. “Del resto lo smantellamento del Pd è in corso: mi dicono che quest’anno il partito abbia 180000 iscritti, soltanto il Pds ne aveva 620000”. “È un’idea della politica che a mio giudizio dobbiamo cercare di contrastare”, spiega parlando del voto referendario come di una data “cruciale” per il centrosinistra. Lo scenario è il seguente: “Se vince il Sì si aprirebbe una frattura insanabile, procederebbe l’idea del partito della Nazione”. L’asse con Verdini, evocato a chiare lettere, costituirebbe “una mutazione genetica che non verrebbe accettata da milioni di persone di sinistra”, dice D’Alema sottolineando, numeri alla mano, l’emorragia di consensi che ha colpito i democrat dopo le europee. “Sono loro che consegnano  il paese a Grillo come hanno fatto a Roma e Torino”.

“Puntare tutto sul referendum è come giocare alla roulette”, incalza D’Alema ricordando di essersi dimesso da premier dopo avere perso le regionali “come atto di responsabilità”. La sala applaude e subito dopo il Lìder Maximo ne mette a segno un’altra. “Ma capisco che questa è vecchia politica e non voglio tediarvi”, dice pungente. Poi passa al modus operandi: “Una riforma costituzionale di governo è contrario alla carta dei valori del Pd che è il fondamento del nostro partito”. Un’affermazione corroborata da un aneddoto storico. “De Gasperi non usò mai la forza del governo per condizionare e quando prese la parola scese dai banchi del governo e andò a parlare dal suo scranno di deputato. D’Alema snocciola diverse critiche sulla riforma che “non supera il bicameralismo ma lo rende confuso”, crea un senato “azzoppato” non rappresenterà i territori ma i partiti: una Camera di serie b”. La rifororma “comprime le autonomie locali andando contro l’articolo 5 e la mancata elezione dei senatori lede articolo 1 quindi non è vero che non tocca la prima parte della Costituzione: la prima parte è intaccata in alcuni punti essenziali”, incalza ancora. L’ex Presidente del Consiglio assicura che in caso di vittoria del No non ci saà “nessuna apocalisse” e ironizza sull’idea dell’ultimo treno per le riforme. “Io sono solito vedere dove va il treno”, dice. Una giornata perfetta, insomma. Ma c’è un fuori programma con il quale D’Alema, al termine della kermesse, deve fare i conti. Romano Prodi esce dal silenzio e annuncia che voterà Sì al referendum. Una doccia fredda per Massimo D’Alema, che a margine dell’incontro, con il volto pietrificato, tenta di minimizzare incalzato dai cronisti: “Rispetto l’opinione di Romano Prodi e non ho motivo di polemizzare con lui”.

 

 

 

 

 

 


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