L'amore, il carcere e la battaglia |Le lettere di Tortora a Francesca - Live Sicilia

L’amore, il carcere e la battaglia |Le lettere di Tortora a Francesca

Presentato a Catania "Lettera a Francesca", il libro che raccoglie le lettere che Enzo Tortora scrisse alla sua compagna dal carcere.

La presentazione
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CATANIA – Le ha custodite gelosamente per oltre trent’anni nel suo cassetto, ma oggi Francesca Scopelliti ha deciso di rendere pubbliche le lettere che il suo compagno, Enzo Tortora, le inviava dal carcere. Una selezione che ha trasformato in un libro intitolato “Lettere a Francesca”, edito da Pacini, presentato ieri a Catania.

Rabbia, umiliazione, dignità e amore: c’è tutto nei racconti che il famoso giornalista e conduttore di “Portobello”, scriveva durante il periodo della prigionia. Tortora fu rinchiuso nel giugno del 1983 e rimesso in libertà sette mesi dopo. Una detenzione ingiusta, provata poi da una sentenza definitiva di assoluzione, che non bastò tuttavia a cancellare gli effetti di quella “bomba al cobalto” – come lui stesso descriveva – che esplose nella sua vita sconvolgendola. 

“Ho faticato a pubblicare queste lettere perché ho pensato fossero effetti personali” – ha dichiarato Francesca Scopelliti, già senatore della Repubblica, nonché attuale presidente della Fondazione internazionale per la giustizia giusta Enzo Tortora alla quale saranno devoluti i proventi del libro. “Poi – aggiunge – le ho rilette con la testa, non con il cuore, e lì ho capito che conteneva delle denunce, parole attraverso cui Enzo mi mandava dei segnali, mi diceva di voler far sapere. Ecco perché ho deciso di pubblicarle”.

Un libro che nasce dall’incontro della fondazione guidata dalla compagna di Tortora con l’unione delle Camere Penali italiane con lo scopo di continuare quelle battaglie che Tortora condusse con coraggio. Nelle lettere il giornalista, divenuto poi leader politico, non tentava solo di difendersi dalle accuse di associazione camorristica, ma denunciava anche le aberranti condizioni di vita dei detenuti. Una missione che portò avanti anche dopo la reclusione insieme al partito radicale per l’affermazione della responsabilità civile dei magistrati, della terzietà del giudice, della separazione della carriere tra magistratura inquirente e giudicante nonché della cultura di un processo penale non inquinato dal circo mediatico. 

“A suo carico non c’era uno straccio di prova. E in tutti questi anni – prosegue Scopelliti – il nome di Enzo era stato cancellato, perché andava a toccare la suscettibilità di chi lo aveva condannato, di chi aveva delle responsabilità nella sua vicenda. Non si doveva disturbare”. Un clamoroso errore giudiziario contaminato dal circo mediatico di allora, ovvero gli ingredienti di quello che ben presto fu battezzato come il “caso Tortora”. 

“Aprite questo libro: – si legge in un passaggio – sentirete l’urlo disperato di un innocente straziato dall’assenza di diritto e di verità. Leggete queste lettere traboccano di incredulità e indignazione, ma anche di dolcissimo amore per la sua Francesca. Scoprirete così di non poter restare indifferenti alle parole- purtroppo ancora attuali – di un detenuto dalla coscienza limpida e libera che lancia la sua accusa ai magistrati prigionieri di un teorema giudiziario a giornalisti corrivi con la procura di Napoli”. 

Fra gli intervenuti ieri, Francesco Merlo, giornalista catanese e storico editorialista del quotidiano “La Repubblica” . “Questo libro – ha spiegato – non è bello perché mette sotto torchio la magistratura, ma perché mette in risalto la letteratura del carcere. L’amore e il carcere. Racconta la sua vita durante la detenzione. La galera non solo fa diventare colpevole l’innocente, ma gli insegna ad esserlo. Gli scritti di Tortora risalenti al periodo precedente all’esperienza in cella erano diversi: una scrittura quasi elementare. Ma il carcere stimola la scrittura”. Accade questo ai detenuti. “Lettere a Francesca – ha proseguito Merlo –  è un libro che ci consegna un Enzo Tortora diverso: una bellezza letteraria che non conoscevamo. Nei casi disperati vengono fuori risorse che non si crede di avere. Queste lettere danno una luce nuova. Sono le lettere d’amore mandate dal carcere da un uomo innocente. Accantonando il resto e la dismisura dello scandalo giudiziario rimangono il sentimento e la letteratura contenuta in questo libro”. 

Per Merlo il “caso Tortorta” non va utilizzato “per battaglie politiche che non arrivò neppure a conoscere. La carriera politica poi lo salvò. In quegli anni in cui fu lanciata l’indagine di camorra sul capo di alcuni personaggi eccellenti come Tortora parte della magistratura era collusa con la politica. Tortora era un presentatore di successo, ma accompagnato sotto sotto da una sottile antipatia. E il pubblico crebbe a quella vicenda che lo sbranò. Finì in carcere per un equivoco”. 

“Potere, amore e libertà. Sono tre concetti declinati nella loro forma estrema. Il potere che toglie la libertà a qualcun altro. L’amore che lo teneva in vita, ma che gli permette di andare avanti” – ha detto invece, l’economista Maurizio Caserta. “La vicenda umana – ha concluso – l’analisi e la razionalità dall’altra sono la giusta chiave di letura, secondo me del libro”.  

Enzo Tortora morì stroncato da un tumore un anno dopo il pronunciamento della sentenza di assoluzione. Altro tasto dolente, quest’ultimo, per la sua campagna. “Le correlazione tra carcere e malattia esistono – ha sottolineato – si tratta di possibilità concrete. Umberto Veronesi, grande amico di Tortora, non lo confermò mai, ma non escluse neppure del tutto che Enzo si fosse ammalato e per quella ragione”. E aggiunge: ” Quella bomba al cobalto fu poi il tumore che me lo portò via” –  ha concluso Scopelliti.


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