Parla l'imprenditore Chirieleison |"Così il Comune ci ha rovinati" - Live Sicilia

Parla l’imprenditore Chirieleison |”Così il Comune ci ha rovinati”

La magistratura lo considera "vittima" dell'ex assessore Girlando: un'azienda fallita e settanta lavoratori licenziati. Per una presunta tentata concussione.

IL CASO CHE HA SCONVOLTO CATANIA
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CATANIA – Un’azienda fallita, settanta lavoratori licenziati, e una brutta storia consumata sulla pelle delle persone. Al di là degli aspetti giudiziari, di cui è la magistratura ad occuparsi, la vicenda da cui sono scaturite le indagini che hanno portato la Procura a chiedere il rinvio a giudizio per l’ex assessore Girlando per tentata concussione aggravata, ha già provocato delle conseguenze nefaste. Sicuramente per i dipendenti della Simei, oggi fallita. Le cui sorti sono state infatti determinate da quanto consumatosi negli uffici del Comune, almeno secondo il direttore generale dell’azienda, Gianluca Chirieleison. Che racconta a Livesicilia quanto accaduto lo scorso anno e che ha portato la società alla chiusura.

“Un’azienda – afferma – che nasce sessant’anni fa e che ha dato lavoro fino a 470 persone”. A Catania, la Simei si è occupata dell’appalto della pubblica illuminazione circa diciassette anni fa gestendo, per conto dell’Ati di cui la capofila era Enel, tutti gli oneri legati al personale, i mezzi, le bollette e di gestione. Anni in cui Simei accumula crediti nei confronti del Comune, per milioni di euro. “Il dolo nella formazione del debito non c’è stato – spiega. Catania ha subito negli anni una crisi importante e l’amministratore unico della Simei, che ora non c’è più, il cavaliere Ferranti, ha sempre cercato di far pesare il meno possibile questa crisi sull’appalto. Ha mantenuto gli accordi con l’ente, sforzandosi economicamente, pagando anche le bollette per conto del Comune ad Enel. Cioè, ha assorbito il debito che il Comune aveva con la società elettrica per la città di Catania. Con la certezza che prima o poi questi soldi sarebbero rientrati”.

L’appalto con l’Ati, però, si interrompe nel 2012, e ne subentra un altro. “È stata fatta una transazione per il debito pregresso – continua Chirieleison – da parte dell’amministrazione Stancanelli, ma nulla è stato pagato”. Nel 2013 cambia la giunta e le trattative proseguono con quella guidata da Enzo Bianco e con l’assessore al Bilancio Giuseppe Girlando. Questi, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbe procrastinato il pagamento della prima rata del debito “negoziato” producendo così il fallimento dell’azienda.

“Tre anni fa è stata votata la delibera di Giiunta, mai ottemperata – racconta ancora Chirieleison. Poi ne è stata fatta un’altra un paio di anni fa. Noi abbiamo rinunciato a un bel gruzzolo, anche rispetto alla transazione precedente. Insomma, era più vantaggiosa nei confronti dell’amministrazione. Dopo un anno e mezzo di tira e molla, si arriva finalmente a gennaio 2016, quando si chiude formalmente. I soldi per la prima rata ci sono subito. Noi chiediamo il pagamento immediato di una cifra per poter pagare gli stipendi ai lavoratori. E di non subire nessun fallimento. Avremmo portato avanti l’azienda se noi, un anno fa, avessimo incassato quello che ci spettava. Era di circa un milione di euro e i lavoratori settanta. Il paradosso è che, per coprire il debito, che poi è stata la cifra che ha fatto fallire la Simei, ne servivano circa 400 mila euro. Il resto sarebbero stati investimenti. Alla fine – prosegue – abbiamo ricevuto l’istanza di fallimento, fatta dai lavoratori per ottocentomila euro (di cui abbiamo pagato la metà per nel corso del procedimento fallimentare). Abbiamo presentato un concordato preventivo, ma prima di arrivare al crack vero e proprio, tra aprile e maggio, ho cercato di accelerare e chiedere il pagamento della rata. Dicendo ai miei interlocutori che senza sarebbe fallita”.

Tutto registrato e trascritto nell’informativa dei carabinieri che, tra le altre cose, riportano la conversazione intercettata tra Chirieleioson e l’avvocato Uccio Russo del Comune, avvenuta all’inizio di maggio 2016 nella quale “l’avvocato Russo suggeriva di andare alla ragioneria e sollecitare la pratica perché non vi erano motivi ostativi”.

La questione l’ho sbloccata”, afferma l’avvocato, e più avanti: “Bisogna soltanto portarla ad esecuzione, quelle questioni di carattere meramente tecnologico che sono servite soltanto a “qualcuno” a perdere ulteriore tempo non dovevano neanche essere proposte”. L’avvocato Russo parla di un’e-mail a che ha inviata proprio per sollecitare a procedere con la transazione. E, a un certo punto dice: “Niente, lei si deve piazzare dinanzi alla ragioneria e deve spingere”.

Da qui la reazione di Chirieleison: “Lo capiscono che stiamo chiudendo un’attività”. E ancora: “Noi siamo in concordato, io devo presentare il piano perché non abbiamo riscosso i soldi dal comune … Ma lo vogliono capire… Un’attività di sessant’anni cioè ma come glielo devo spiegare? In americano in latino in francese non lo so più come glielo devo spiegare a sti signori non lo so”. […] “Io non posso più. Come glielo devo spiegare. È due anni che vado avanti. C’è un motivo che non mi volete fare … Di conseguenza ci sarà da pensare che c’è un motivo che non mi vogliono far portare avanti la transazione è ma non ne è che ci vuole il malizioso che penso una cosa simile”.

La delibera firmata a maggio 2018, quella di cui parla l’avvocato, stabilisce il pagamento della prima rata a sessanta giorni. “Un giorno qualcuno se la pensa e con una transazione già chiusa, modifica questa clausola – spiega Chirieleison Una modifica che doveva passare al vaglio dell’Ati. Viene variato il pagamento della prima rata, che viene subordinata la bilancio 2016”.

L’azienda non viene saldata e chiude. “I lavoratori, a luglio, quando arriva la sentenza del fallimento, sono stati tutti licenziati – continua. Con il pagamento della prima rata avremmo potuto chiudere il concordato, evitando il default”. Insomma, due delibere di Giunta che attestano un debito verso una società, e nessun pagamento. Settanta lavoratori licenziati, un’azienda fallita. Il paradosso è che questi soldi spetterebbero ancora alla Simei, la cui causa di fallimento deve andare in Cassazione. “Se ne occuperà – conclude – il curatore fallimentare”.

 


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