La leva calcistica del Novantotto | Così Agostino ha fatto gol - Live Sicilia

La leva calcistica del Novantotto | Così Agostino ha fatto gol

Agostino Calatabiano

Una storia di speranza. Il risveglio dopo il coma. E in tanti fanno festa per il piccolo calciatore.

PALERMO- Un ragazzo della leva calcistica del ’98, un prato, un pallone e una stanza d’ospedale. Questa è la storia. Il prato lo vedi laggiù, alla fine del dolore. Il pallone sembra un cuore che rimbalza, sognando un piede per essere calciato. Il ragazzo dorme, al riparo, nella stanza d’ospedale.

Si chiama Agostino Calatabiano. Lo scorso novembre è stato vittima di un incidente mentre con la sua squadra, il Bolognetta, giocava contro il Villabate, nel campionato di Promozione. Sono i minuti della partita che cambiano tutto, nei racconti di Soriano, come nella vita. ‘Ago’ entra poco prima che l’arbitro fischi la fine. Ha un bel tocco e ali nelle scarpette. Vuole mangiarsi quegli attimi, prenderseli, per cucirsi sulla pelle un piccolo scudetto d’infinito. Un contrasto. La caduta. Testa e schiena che sbattono. Il coma. Una lunga attesa, intessuta di preghiere e lacrime. Appena qualche giorno fa, il risveglio che ha commosso tanti che aspettavano una buona notizia. E le bacheche social sono diventate, di colpo, spalti imbandierati, un tam tam per voce sola: Agostino è rinato, Agostino ha fatto gol.

E’ stato Vincenzo La Grua, direttore sportivo, uomo di calcio, a scrivere su Facebook: “Oggi ho assistito e visto con i miei occhi il più bel gol da quando sono nel mondo del calcio. Agostino Calatabiano è uscito dal coma, ha aperto gli occhi e con i gesti riesce a farsi capire dalle persone che gli pongono delle domande. Ma ciò che mi ha dato i brividi più di ogni altra cosa, oltre al fatto di vederlo bene, è stato il bacio mandato alla mamma e la voglia di tornare a calcare un campo di calcio, perché, facendogli vedere l’almanacco con la foto del Bolognetta, ha alzato la gamba, come per voler calciare. Che grande sorpresa, che grande gioia”.

Vincenzo è uno che ha imparato i rimbalzi del pallone. Li conosce a memoria. E’ un amico dei genitori dell’attaccante in erba, Giuseppe e Barbara, un papà e una mamma che non hanno mai perso la speranza, mostrando coraggio e tenacia. Ora dice: “I familiari sono ovviamente contentissimi, anche se scossi”. E ritorna alle emozioni che ha vissuto, prima di riversarle nella pagina web: “Sono entrato col cuore che batteva forte forte, come se mi aspettassi un miracolo. C’era Agostino su una sedia, non a letto. Il papà gli sussurrava cose dolci all’orecchio. Lui ha aperto gli occhi”.

Un po’ si commuove, Vincenzo La Grua, mentre ripercorre la strada di una gioia immensa, anche se cerca di nasconderlo: “Ci sono stati sentimenti contrastanti, di paura e di sollievo. Si temeva che la situazione fosse disperata. I medici del San Raffaele Giglio di Cefalù sono stati fantastici, come persone e come dottori. I genitori hanno vissuto accanto al figlio, parlando, pregando, vegliando”. E si fa latore di un messaggio di papà Giuseppe che ci tiene a ringraziare tutto il personale medico. “Sì, gli ho mostrato le foto dell’almanacco – continua Vincenzo – e ho visto il piede destro del ragazzo muoversi, come per calciare un pallone immaginario. Poi ha incontrato con lo sguardo quello di sua madre e ha schioccato un bacio, a filo di labbra”.

Una grazia quel piede che riprende fiato, non un miracolo impossibile : perché ognuno riconosce se stesso nell’album dei giocatori vecchi e nuovi. E c’è sempre un sognatore che corre con la sua innocenza e c’è una mano che tenta di strappargliela di dosso, come fece il rude Gentile con la maglietta verdeoro di Zico al Mundial di Spagna.

E le corsie di un ospedale sono stadi pieni di silenzio, nel Grande Campionato del Mondo dei respiri. Ma quando qualcuno torna dal buio in cui era precipitato – con un guizzo vincente – le parole mettono le ali, come le scarpette che vogliono attraversare il prato alla fine del corridoio.

Lo intravvedi, quel prato. Ne avverti il profumo. C’è un pallone che non smette mai di rotolare, anche dopo il tackle del dolore. C’è una foto nell’album. Ti riconosci: sei proprio tu, all’inizio di tutto. Le ferite sono ricordi. La felicità è tornata a casa. Per questo, alla fine, sorridi.

 


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