Colpo al clan Ercolano Santapaola| I Carabinieri arrestano 15 "affiliati" - Live Sicilia

Colpo al clan Ercolano Santapaola| I Carabinieri arrestano 15 “affiliati”

"Annientato il gruppo Navarria". TUTTI I NOMI - FOTO

 

CATANIA – “Abbiamo annientato il gruppo Navarria”.  Lo ha detto il comandante provinciale dei Carabinieri, il colonnello Francesco Gargaro, a margine dell’operazione “Araba fenice” che ha coinvolto oltre 100 militari dell’Arma, e ha portato all’esecuzione di 15 provvedimenti cautelari ad altrettanti  esponenti della famiglia di Cosa Nostra Santapaola-Ercolano operanti nella zona di Belpasso. A capo dell’articolazione etnea c’era Carmelo Aldo Navarria, classe 1962. Personaggio ritenuto spietato e pericoloso, la cui storia criminale è assimilabile a quella di una fenice, appunto. Una volta scarcerato nel 2014,  dopo 26 anni di reclusione a seguito della condanna per sei omicidi, è tornato in piena attività mettendosi a capo del sodalizio composto da: Gaetano Doria, classe 1969; Michele La Rosa, classe 1971; Rosario La Rosa, classe 1978; Patrizia Paratore, classe 1966; Gianluca Presti, classe 1981; Mirko Presti, classe 1987; Antonino Prezzavento, classe 1970; Stefano Prezzavento, classe 1985; Carmelo Salvatore Asero, classe 1957; Simonetta Battaglia, classe 1962; Concetta Fichera, classe 1965; Claudio Grasso, classe 1975; Salvatore Leotta, classe 1964; Giuseppe Nicosia, classe 1962.

 

Un momento della conferenza stampa.

L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, sotto il coordinamento del procuratore capo Carmelo Zuccaro. Agli indagati sono stati contestati, a vario titolo, i reati di associazione di tipo mafioso, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, rapina, sequestro di persona, danneggiamento seguito da incendio, riciclaggio e favoreggiamento personale, con l’aggravante del metodo mafioso. Gli investigatori hanno inoltre documentato l’ingente volume di affari illegali della consorteria criminale, riscontrando un diffuso condizionamento illecito dell’economia locale. Nelle indagini sono stati acquisiti elementi di prova, nello specifico, in ordine ad estorsioni consumate in danno di imprenditori locali alla perpetrazione di rapine nei confronti di autotrasportatori al fine di agevolare l’organizzazione di appartenenza.

Carmelo Aldo Navarria, un tempo uomo di fiducia di Giuseppe Pulvirenti detto “U malpassotu”, era il braccio armato di Nitto Santapaola. Negli anni ’80 era ritenuto lo spazzino del clan, ovvero colui che faceva sparire i cadaveri. In un certo senso, l’esperienza del carcere non lo avrebbe mutato di una virgola. Una volta tornato in libertà, non solo avrebbe ripreso l’attività criminale, ma avrebbe continuato a utilizzare una metodica ritenuta superata per l’eccesso di violenza. Un tratto ribadito più volte in conferenza stampa sia dal procuratore Zuccaro che da Alessandra Tasciotti della Dda: “Una volta uscito, Navarria era per noi una priorità”, hanno detto. “L’incendio era la sua modalità prevalente d’intimidazione”, hanno inoltre spiegato. Un’indagine il cui esito era in parte già scritto, ma i cui risultati sono stati raggiunti grazie – come ha rivelato Giuseppe Sturiale della Dda – alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Carneci, già uomo vicino a Navarria.

Nonostante la lunga carcerazione, durante la quale aveva percepito lo “stipendio”, Navarria aveva continuato a guidare il gruppo di Belpasso attraverso i propri generi  (Gianluca Presti e Stefano Prezzavento). Il suo ritorno nel territorio, rappresentava quindi  l’occasione per riaffermare la propria signoria criminale. Un ruolo favorito dalla collaborazione della moglie, Patrizia Paratore, che ha agito organizzando incontri, recapitando comunicazioni, favorendo la latitanza del genero Stefano e, dopo l’arresto del marito, preoccupandosi delle sorti degli affiliati detenuti.

Le indagini hanno permesso di evidenziare, inoltre, le dinamiche operative del gruppo criminale per il controllo del territorio, mediante la realizzazione di reati contro il patrimonio, ricostruendo gli affari illegali del clan, nonché la responsabilità degli affiliati in ordine alla consumazione di due rapine con sequestro di persona, commesse a Belpasso il 14 gennaio ed il 3 febbraio 2015 in danno di autotrasportatori del settore alimentare, nonché di estorsioni nei confronti di imprenditori locali anche con danneggiamenti dei beni mobili aziendali, sempre per agevolare l’organizzazione mafiosa d’appartenenza

Nel corso dell’attività investigativa e a riscontro dell’ipotesi accusatoria, il 20 novembre e 10 dicembre 2015, venivano arrestati 10 affiliati per estorsione pluriaggravata commessa dall’ottobre 2014 fino al 19 novembre 2015 in danno della ditta “Lavica Marmi s.r.l” di Belpasso, i cui titolari erano stati costretti a corrispondere il pagamento di una somma di 600 euro al mese a titolo di “pizzo”. Inoltre, il 22 marzo 2017, veniva fatta piena luce sulla scomparsa dell’imprenditore agrumicolo di Paternò Fortunato Caponnetto, con l’esecuzione di misure cautelari in carcere nei confronti di Navarria e di altri 3 affiliati per i delitti di omicidio e distruzione di cadavere avvenuti in Belpasso l’8 aprile 2015, delitti il cui movente consisteva nel rifiuto della vittima di sottostare  alle pressanti richieste estorsive  cui era sottoposto, rifiutandosi di assumere lo stesso Navarria presso la propria azienda e licenziando la moglie di quest’ultimo, in precedenza assunta fittiziamente proprio su imposizione del boss, nonché in dissidi insorti con appartenenti ad altra associazione mafiosa a causa di un debito contratto da un congiunto della vittima per il quale Navarria avrebbe fatto da garante.

Dei 15 provvedimenti cautelari eseguiti (9 misure di custodia cautelare in carcere e 6 misure di obbligo di presentazione alla PG), 6 sono stati notificati in carcere nei confronti di altrettanti indagati già detenuti.

IL PROFILO

Negli anni Ottanta era lo “spazzino” del clan del “Malpassotu”. Colui che faceva sparire i cadaveri, insomma. Carmelo Aldo Navarria, accusato di aver ordinato e ucciso Renato Caponnetto nel 2015, è stato un boss mafioso pericoloso e spietato. Il profilo criminale che si evince leggendo alcuni atti giudiziari del passato che lo riguardano, come la sentenza del processo Aria Pulita celebrato negli anni ’90, è a tratti agghiacciante.

Sono almeno quattro gli omicidi per cui è stato condannato in via definitiva, uno commesso nel 1982, uno nel 1984 (con sequestro di persona), uno nel 1986 e uno tre anni dopo. Ma alla fine invece del carcere a vita è uscito dopo 26 anni. Anni dietro le sbarre in cui ha coltivato la sua vena poetica, “la ballata dell’ergastolano” è finita anche in alcuni giornali che si occupano di diritti dei detenuti.

Per un periodo è stato il braccio destro del capomafia Giuseppe Pulvirenti, si apprende da fonti investigative. E all’interno del clan – come detto – aveva un ruolo preciso: era addetto alla distruzione dei cadaveri. Una capacità che gli sarebbe servita anche per uccidere Renato Caponetto, pestato, strangolato e poi bruciato tra i pneumatici.

I giudici scrivevano che la “cava di Belpasso era diventata una sorta di campo di sterminio”. Navarria finisce in galera: 26 anni dietro le sbarre però non bastano per estirpare la sua ambizione criminale. Appena fuori ha raccolto i suoi uomini più fidati, tra questi i generi e poi ha costruito un gruppo criminale dedito alle estorsioni e secondo gli inquirenti sarebbe diventato il braccio armato di Francesco Santapaola, quello che nell’inchiesta Kronos è indicato come il nuovo reggente della cupola di cosa nostra catanese.

 

 GUARDA LE FOTO


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI