La città dei muri e del futuro | "Palermo è una grande incompiuta" - Live Sicilia

La città dei muri e del futuro | “Palermo è una grande incompiuta”

La parola all'ingegnere Caffarelli. Come risolvere i nodi tra cantieri e domani?

L'intervista
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3 min di lettura

Facce e lamiere. Biografie e cantieri. Trincee contrapposte. Palermo è una città spaccata in due estremità che non si rispecchiano l’una nell’altra, non si abbracciano, non si ritrovano più. Nei riflessi inconciliabili di una comunità divisa polemizzano la prassi e la visione. La seconda appartiene a chi immagina un futuro di ipotesi che sbocceranno, finalmente, in opere, liberando un popolo dalla necessità di prendere la macchina. Ma poi c’è il giorno per giorno di residenti e commercianti che si sono ritrovati sotto casa una gru, fin qui, a tempo indeterminato. Ci sono le pizzerie e i negozi di via Amari, soffocati dalla muraglia panormitana dell’anello ferroviario e dai ritardi che si sono accumulati ai piedi del sogno di una diversa mobilità.

C’è il parrucchiere di via Sicilia che adesso fa un altro mestiere, perché ha chiuso bottega per via degli scavi perenni davanti alla sua porta. Forse, sono appena micro-storie davanti all’inarrestabile progresso, ma chi glielo spiega a chi ha perso l’attività, a chi ha visto precipitare il valore di un immobile? Chi li convince che, in fondo, è stato meglio così? E resta quella domanda che, più volte, ci siamo posti: la città nuova e la città murata potranno mai convivere?

Benedetto Caffarelli è un vivace ingegnere palermitano di 75 anni. E’ stato consigliere comunale per il Partito Repubblicano a Palazzo delle Aquile molti anni fa. Ha lunga esperienza professionale e umana. Vanta uno sterminato curriculum. Il grande dilemma tra la visione e la prassi lo interessa. Anzi, a riguardo avrebbe pure qualche idea.

Ingegnere, qual è il nodo, secondo lei?
“Parliamo di una crisi che viene da lontano, almeno da quarant’anni. Ha un po’ di tempo?”.

Prego.
“Quarant’anni fa i rapporti tra imprese e amministrazioni erano più chiari. Ci sono stati, certo, storture, illeciti e inciuci che era giusto sanzionare, ma il contesto appariva netto. Le amministrazioni chiedevano un lavoro, le imprese lo realizzavano e non ti lasciavano in asso. Punto”.

Non è più così?
“Non voglio riferirmi direttamente alla situazione di Palermo, perché perfino io sono un po’ rassegnato e non la seguo più moltissimo. Esprimo una valutazione generale”.

Esprima pure, liberamente.
“Le imprese di una volta erano ‘di lignaggio’, come le chiamavamo noi. Avevano maggiori risorse. Adesso, i grossi lavorano soprattutto all’estero. E pure le amministrazioni erano dotate di una migliore qualità, a cominciare dalla burocrazia. Prima certe cose non capitavano”.

E adesso cosa capita?
“Non succedeva quasi mai che un’azienda non finisse quanto aveva pattuito nel termine stabilito, per esempio. Una cosa così, all’estero, non è concepibile. Col metodo anglosassone ti puniscono subito. Non ci sono proroghe, né ritardi consentiti. Anche perché, se i lavori si fermano, riprenderli diventa maledettamente complicato. Ma, appunto, è un fatto nazionale, non solo squisitamente locale”.

Ecco, veniamo a Palermo. Qual è, secondo lei, la situazione?
“Vedo spesso i vagoni del tram vuoti…”.

E che vuol dire?
“Significa che si sono raggiunti dei traguardi, però bisogna vedere che utilità abbiano. Questa città mi pare una gigantesca incompiuta”.

Cioè?
“Bisognerebbe mettere in rete quello che c’è e realizzare da subito una gestione integrata dei rapporti, un sistema coerente. Ci sarà in futuro? Io spero di sì, ma al momento non vedo niente di simile. Lo dico da ingegnere. E poi…”.

E poi?
“Troppa ideologia. Abbiamo perso tempo, perché il tram era di sinistra, mentre la metropolitana era di destra. E ci siamo lambiccati su un tema aleatorio”.

Lei parla come ingegnere e come testimone di un cammino di anni. A che punto è la notte di Palermo?
“Mi sembra che siamo ripiombati indietro. Magari per colpa della crisi. Vedo in giro tanta disperazione. Vedo parecchie città separate – pure fisicamente – invece di una intera, ciascuna col suo interesse particolare, lontana da una identità collettiva. Vedo sensibilità individuali e scarsa condivisione. Vedo deserti, uno accanto all’altro. E non è solo un problema di mobilità. Sa cosa diceva un intellettuale pungente quale Enzo Sellerio?”.

Credo di sì.
“Ecco, diceva: io non sto a Palermo, perché sto a casa mia. Mi pare che sia una frase purtroppo adatta per descrivere i tempi che stiamo vivendo”.

 

 

 

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